martedì

The Italian Show

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(Immagine dal film The Truman Show)

«Da corrispondente in Italia mi sento spesso come Keanu Reeves nel film The Matrix, o Jim Carrey nel Truman Show. È una sensazione spaventosa: vivere e lavorare in una democrazia dell’Europa Occidentale che fu tra i fondatori dell’Unione Europea e fa parte di prominenti forum internazionali come il G8, e ciò nonostante sentirsi come i personaggi che lottano in angosciosi film su illusione e realtà.
Ma l’Italia di Silvio Berlusconi ne dà tutto il motivo. Quindici anni dopo l’ingresso di Berlusconi nella politica italiana, il paese si allontana sempre piú dai valori democratici essenziali.
Neo (Reeves) e Truman Burbank (Carrey) in The Matrix e The Truman Show si rendono conto che il loro intero ambiente vive secondo la sceneggiatura di un regista onnipotente. Però non vedono la loro sorpresa e preoccupazione al riguardo riflessa in alcun modo nella reazione delle persone che li circondano; tutti si comportano esattamente come se non succedesse niente di strano, o semplicemente non se ne rendono conto. Chi cerca di seguire e di capire la politica e la società in Italia inevitabilmente avrà la stessa esperienza...»

Berlusconi riesce sempre a cavarsela — da Italiadallestero.info, 8 marzo 2009: leggi tutto

L'articolo originale di Eric Arends su De Volkskrant.nl, 28 marzo 2009

Fotografia — Portfolio del mese

lunedì

L'ultima cena (Director's Cut)

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Quando Gesù disse che il pane era il suo corpo gli sembrò una cosa bella, un sacrificio umano elevato a simbolo era una buona idea.
Quando disse che il vino era il suo sangue dubitò un po', non suonava molto kosher, come si dice, ma va bene, in fondo la legge mosaica era un tantino assurda per quel che riguardava l'alimentazione.
Quando disse che la birra era la sua pipì gli sembrò uno scherzo di cattivo gusto, ma ormai comunque erano tutti mezzo ubriachi, si capisce che uno se ne esca con delle stupidaggini, messia o non messia.
Fu quando Gesù afferrò il bicchiere col latte che Giuda seppe che cosa doveva fare.


Saurio, La última cena (Director's Cut)

Il cenacolo grottesco dell'argentino Saurio (tradotto dal blog Químicamente impuro)

Saturn & Co.

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Le eccezionali immagini inviate dalla sonda Cassini durante la Missione Equinox (dal sito della Nasa)

venerdì

«L’era Silvio? Non avevamo capito nulla»

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«E quando, il 26 gennaio del 1994, Berlusconi registrò il suo primo messaggio televisivo, mettendo una calza da donna davanti all’obiettivo della telecamera per garantirsi così un effetto visivo più fascinoso?

"Pensammo fosse una roba poco seria. E sbagliammo. Perché lui, invece, aveva già intuito come la nuova società italiana stesse cambiando e, alla verità del merito, tipica della nostra storia comunista, si stesse sovrapponendo la verità della forma"...»

Intervista a Luciano Violante: «L’era Silvio? Non avevamo capito nulla» (Fabrizio Roncone su Corriere.it, 27 marzo 2009) — leggi tutto

La nascita

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(Immagine: Nick Schiavulli)


Un sacco cieco, una tana delicata. Inutile aprire gli occhi, non vedrebbe che tenebra. Ugualmente il corpicciolo matura un’indistinta certezza di sé; e di essere sé dentro un altro. Galleggia, irrisorio isolotto, in un bagno di misterioso tepore. Vi nuota e ristagna, elastico e inerte a un tempo, sotto la vernice di grasso che lo protegge. Se ne unge, abbevera e nutre, così come d’una stilla d’acqua una zolla di terra in un vaso. Solo che a lui la focaccia della placenta garantisce ogni giorno ulteriori sughi e umori lungo un cordone infallibile. Ne cresce, se ne ingrossa, si fa da moncone creatura. Fino all’istante in cui, nel suo esilio intoccabile, un lampo brilla, un alito soffia: “Io, io, io!”; un alito che non è ancora voce, coscienza, pensiero, ma solo infinitesimo, opaco, stuporoso sprigionamento dal Nulla… “Io, io, io!”… se così possa chiamarsi il trasalimento confuso, in lui, di remotissimi suoni e remotissimi moti; e l’ancor più ignara alleanza col mostro nelle cui viscere sta: quel Leviatano di morbida, montuosa carne di cui sente battere il cuore all’unisono col suo.
Poi, un mattino, nella strettura dov’è, si sente eccessivo e smania di scatenarsene. Nel grembo, ch’era finora una patria, indovina un ostacolo e lo sforza duramente col capo, cercando in basso l’uscita. Spasimi senza legge, infrenabili come quelli che una notte voluttuosamente lo accolsero seme, assecondano la sua rivolta. Un’agonia - la prima e la penultima agonia della sua vita - con sudore e sangue lo dirige verso la luce. Ode grida sopra di sé, alte grida. E un altissimo croscio di cataratte. Ma lui, impavido, per emergere usa precocemente astuzia e violenza; allunga, appiattisce la testa, ne impicciolisce le fontanelle; attenua l’ingombro dell’ossa; s’induce a strisciare, a sgusciare lungo il cunicolo come meglio non saprebbe fra le sbarre il più slogabile evaso. Attenzione: lo sbocco è imminente. Dall’orifizio, fra due gambe spalancate e convulse, il grinzoso vecchietto s’affaccia, tutto pieghe, la pelle timida e blu. Uno gnomo miserabile e piangente, un ennesimo, effimero fuoco, ma anche una buccia e polpa di barbara vitalità, un testimonio senza confronto che in un semplice vagito assolve e certifica il mondo.
Guardatelo: già insegna ai polmoni le meraviglie del respiro, li espande, li contrae, torna a espanderli; inaugura gloriosamente l’aria e le sue misture nutrienti…
È nato. Ha cominciato a vivere. Ha cominciato a morire.


Gesualdo Bufalino, La nascita (da Calende greche, 1990)

(Tratto dall'edizione Bompiani, 1992)

giovedì

Águas de Março



É pau, é pedra
É o fim do caminho
É um resto de toco
É um pouco sozinho
É um caco de vidro
É a vida, é o sol
É a noite, é a morte
É um laço, é o anzol
É peroba no campo
É o nó da madeira
Caingá candeia
É o matita pereira
É madeira de vento
Tombo da ribanceira
É o mistério profundo
É o queira ou não queira
É o vento ventando
É o fim da ladeira
É a viga, é o vão
Festa da cumeeira
É a chuva chovendo
É conversa ribeira
Das águas de março
É o fim da canseira
É o pé, é o chão
É a marcha estradeira
Passarinho na mão
Pedra de atiradeira
É uma ave no céu
É uma ave no chão
É um regato, é uma fonte
É um pedaço de pão
É o fundo do poço
É o fim do caminho
No rosto um desgosto
É um pouco sozinho
É um estepe, é um prego
É uma conta, é um conto
É um pingo pingando
É uma ponta, é um ponto
É um peixe, é um gesto
É uma prata brilhando
É a luz da manhã
É o tijolo chegando
É a lenha, é o dia
É o fim da picada
É a garrafa de cana
O estilhaço na estrada
É o projeto da casa
É o corpo na cama
É o carro enguiçado
É a lama, é a lama
É um passo, é uma ponte
É um sapo, é uma rã
É um resto de mato
Na luz da manhã
São as águas de março fechando o verão
É a promessa de vida no teu coração
É pau, é pedra
É o fim do caminho
É um resto de toco
É um pouco sozinho
É uma cobra, é um pau
É João, é José
É um espinho na mão
É um corte no pé
São as águas de março fechando o verão
É a promessa de vida no teu coração
É um passo, é uma ponte
É um sapo, é uma rã
É um belo horizonte
É uma febre terçã
São as águas de março fechando o verão
É a promessa de vida no teu coração


Antònio Carlos (Tom) Jobim e Elis Regina, Águas de Março, 1970

Quei piccoli Bastian contrari

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(Foto: Gustavo Guimarães)

«Provare per credere: tutte le volte che si dice a un bambino molto piccolo di fare o non fare una cosa, lui (o lei) fa il contrario. La scienza ha però una buona notizia da dare ai genitori dei piccoli testardi. In realtà le vostre parole non passano da un orecchio all'altro senza lasciare traccia, ma vengono "messe da parte" per il futuro. Questa la conclusione cui è giunto uno studio condotto dall'università del Colorado...»

Il segreto del "no" dei bimbi? Fanno scorta di informazioni (Sara Ficocelli, da Repubblica.it — leggi tutto)

Yorim ve'bochim

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(Foto:
Absolutmcs)

Yorim ve'bochim.

In ebraico vuol dire 'spara e piangi'.

«... Vedi una persona sulla strada, che cammina lungo un sentiero. Non ha armi, non devi identificarla e devi solo spararle. C'era una donna anziana, non le vedevo nessun'arma addosso. L'ordine era farla fuori, quella donna, nel momento che la vedevi.»

Le confessioni nient'affatto facili dei soldati israeliani impegnati nell'offensiva di Gaza.

'Shooting and Crying', da Haaretz.com (segnalato dal blog Nero su Bianco di Jamila Mascat — Internazionale.it)

lunedì

Fine del mondo: la "tempesta perfetta" del 2030

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(Albrecht Dürer, I quattro cavalieri dell'Apocalisse, 1498)

Scarsità di cibo, acqua ed energia.

Mutamenti climatici.

E i conseguenti conflitti di confine, le migrazioni di massa, lo scontento sociale.

La "tempesta perfetta" del 2030 nell'analisi dello scienziato britannico John Beddington (World faces 'perfect storm' of problems by 2030, chief scientist to warn — da «The Guardian»: leggi tutto).

venerdì

Mortale

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(Foto: Mara Damian)


Un uomo chiamato Mortale giunse nel villaggio di Omares e disse al primo bambino che incontrò:
— Avvisa il vecchio più vecchio del villaggio che c’è un forestiero che ha urgentemente bisogno di parlare con lui.
Il bambino avvisò il vecchio Arcino e lo accompagnò per mano fin dove l’uomo, molto nervoso, lo attendeva con trepidazione.
— Si può sapere cos’è che volete e qual è la ragione di così tanta fretta? — gli domandò il vecchio Arcino.
— Sono Mortale — disse l’uomo senza guardarlo.
— Lo siamo tutti — disse il vecchio Arcino. — Mortale non è un nome, mortale è una condizione.
— E allora, anche se si trattasse di una condizione, voi sareste capace di abbracciarmi…? — domandò l’uomo.
— Preferisco baciare questo bambino che dare un abbraccio a un forestiero, ma se questo può tranquillizzarvi, non mi tirerò indietro. Non è strano che, con un nome del genere, voi andiate per il mondo con l’anima in pena.
Si abbracciarono ai piedi dell’albero più vicino.
— Mortale di morte e numero di morti — bisbigliò l’uomo all’orecchio del vecchio Arcino. — Chi non lo capisce, peggio per lui. Il mio mandato non è altro se non quello che il mio nome indica.
Non c’è più tempo, la vecchiaia è incompatibile con l’eternità.
— Avevi così fretta? — chiese l’anziano, mentre sentiva che la vita gli scivolava via dalle braccia e dalle mani tanto che l’uomo poteva reggerlo a stento.
— Non lamentarti, che sono pochi quelli che vivono a lungo.
— Non mi lamento che tu sia venuto qui per me, mi dà dispiacere tu l’abbia fatto con l’inganno, e di aver visto questa povera creatura che correva spaventata…


Luis Mateo Díez, Mortal, 1993

La crudeltà cieca della Morte e il garbo della Vecchiaia secondo il leonese Luis Mateo Díez (tradotto dall'antologia Los males menores, Colección Austral 2002)

giovedì

Dopo la moltiplicazione dei pani...

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La vignetta di Patu su «Le Monde»:

didascalia:
Dopo la moltiplicazione dei pani, la moltiplicazione dei preservativi.

Benedetto XVI:
«Stupidaggini!»

Monsignor Williamson:
«Inoltre, l'AIDS non è mai esistita!»

L'aria che tira



L'articolo da Repubblica.it

mercoledì

Menschen für Tiere

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Dalla Noah Menschen für Tiere e.V. una straordinaria campagna pubblicitaria contro i test sugli animali

The Pale King

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Due pagine dal manoscritto del romanzo incompiuto di David Foster Wallace, The Pale King (fonte: «The New Yorker»)

martedì

L'angelo

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(Immagine: Jasper Nance)


Un angelo che realizza pratiche di volo illegale in piena urbe, viene arrestato e detenuto per aver trasgredito i regolamenti delle rotte aeree, aver provocato disordini e non aver usato le debite segnalazioni.

Di fronte a un'accusa così grande l'angelo non è in grado di difendersi. In carcere medita sul significato della libertà e decide di cercare un'occupazione meno rischiosa.


Diego Muñoz Valenzuela, El ángel

(Tradotto da Microcuentos, 2008, in librosdementira.org)

Electro Drums

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Percussioni elettroniche a profusione (clicca sull'immagine e suona con la tastiera)

lunedì

Caravaggio è stato il primo fotografo?

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(Caravaggio, San Matteo e l'angelo, 1602 — Roma, San Luigi dei Francesi, cappella Contarelli)

«Celebrato come il maestro barocco dei ritratti realistici e del chiaroscuro, Caravaggio, pittore del XVI secolo, viene oggi acclamato come il primo maestro di tecnica fotografica, due secoli prima dell’invenzione formale della macchina fotografica.

Per molto tempo si è ipotizzato che l’artista italiano trasformasse il suo studio in un’enorme camera oscura, praticando un buco sul soffitto per proiettare le immagini sulle tele. Ma una nuova ricerca afferma che Caravaggio avrebbe anche utilizzato materiali chimici per trasformare le sue tele in primitive pellicole fotografiche, “impressionandovi” le immagini che in seguito avrebbe abbozzato sopra le stesse per lavori come San Matteo e l’Angelo...»

Caravaggio è stato il primo fotografo? (da Italia dall'estero.info — leggi tutto)

L'articolo originale di Tom Kington, Was Caravaggio the first photographer? (da «The Guardian», 11 marzo 2009)

Mumbai: scene dagli slum



Gautam Nagar, uno slum vicino all'aeroporto internazionale di Mumbai

Da «The New Yorker»

venerdì

Il manganello e il silenzio


«Caro signor Grillo,
sono Edoardo, ho 22 anni, studio alla facoltà di Scienze Naturali di Pisa e collaboro come free lance con il giornale toscano "il Tirreno". Venerdì pomeriggio io e un amico ci siamo recati alla facoltà di Giurisprudenza per assistere all'incontro con il senatore Marcello Pera, il quale doveva presentare un libro. L'idea era quella di provare a fare qualche domanda, ma purtroppo le cose non sono andate così. Arrivati davanti alla facoltà, ci siamo uniti al sit-in di protesta, poichè la facoltà era stata blindata. I poliziotti in tenuta antisommossa non hanno permesso a noi studenti di entrare nella facoltà e hanno intimato il dietrofront. noi abbiamo fatto un cordone non violento e, a mani alzate, abbiamo continuato a chiedere a gran voce di darci la possibilità di partecipare al dibatittito... non l'avessimo mai fatto... come potrà rendersi conto dai video, è bastato un minuto perchè gli animi dei ragazzi della celere si infiammassero. Abbiamo subito tre cariche e molti ragazzi si sono fatti male. alcune ragazze hanno ricevuto manganellate sugli arti, io ho una mano lussata e molti giovani che non conoscevo si sono ritrovati con la testa rotta... io non la chiamo per chiederle solidarietà (o forse si), ma le persone che sono finite negli scontri non erano "facinorosi", bensì giovani studenti che erano li per caso: a pensi che all'ospedale ho incontrato due ragazzi di 18 anni, due studenti calabresi che vivono a Pisa per fare l'università da nenche sei mesi, apolitici, che volevano solo assitere al dibattito.... il fatto è questo ....oltra al danno la beffa.....è vero che nel video alcuni ragazzi hanno acceso un fumogeno....ma da qui a pensare che otto poliziotti si siano feriti mi viene da ridere....io c'ero...e non sono un violento.....più sono saliti i nostri ferit, più aumentavano quelli dei poliziotti..... il fatto è che dai video si vede che siamo stati aggrediti....eppure stanno incominciando a fioccare le denunce contro di noi (resistenza???) e la stampa nazionale ha riportato solo i feriti della celere ... io sono sconvolto signor Grillo, qui è sempre peggio... se persino una città con un forte animo di sinistra come Pisa incomincia a vedere queste cose vuol dire che qualcosa è definitivamente cambiato....io la prego di rispondermi, anche solo per dirmi "non mi interessa" , la prego davvero... sono tre giorni che non dormo....
Chiedo scusa per al lettera che riporta le notizie senza né capo nè coda ma mi sento ancora molto scosso....sul sito di Pisa notizie potrà visionare i video...» Edoardo

Dal sito di Beppe Grillo

Obama Style

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Obama Style.

Cambiare se stessi, le cose, il mondo — su Obamicon.Me.

giovedì

Giano

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(Immagine: Jean-Luc Rodolphe Bengler Scandella)


Giano era un dio latino soddisfatto di se stesso, aveva le chiavi di tutte le porte, e due teste — due paia d'occhi da far girare intorno per guardare le quattro direzioni dello spazio, o sondare i segreti del passato e del futuro.
Giano non si sentì mai sminuito, né mai si lamentò della propria condizione, almeno fino al giorno in cui ebbe bisogno degli occhiali.


José Eduardo Lopes, senza titolo

Una mitologia "bifronte" del mozambicano José Eduardo Lopes (tradotta dal suo blog Estrada de Santiago)

L'e-book
As Metamórfoses de ouvido

José Eduardo Lopes su Narcolessia delle giraffe

Meglio che possedere

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(Immagine: Taner Döner, Sharing)


«Uso strade di cui non sono proprietario. Ho accesso al 99 per cento delle strade e delle infrastrutture del mondo, tranne qualche eccezione, perché sono pubbliche. Chiunque le può usare perché c'è qualcuno che paga le tasse.

Le strade del mondo sono a tutti gli effetti al mio servizio come se ne fossi il proprietario. Anzi, meglio: non devo preoccuparmi della loro manutenzione. Anche internet è un bene comune. Posso usarlo in qualunque momento, con estrema facilità.

Probabilmente molto presto non saremo più proprietari di dischi, libri o film. Avremo invece accesso a tutta la musica, a tutti i libri e a tutti i film pagando una tassa o un abbonamento. Non dovremo comprarli, ma potremo leggerli o ascoltarli quando vogliamo, scaricandoli dalla rete.
Per molte persone questo tipo di accesso immediato e universale è meglio della proprietà: nessun problema di accumulo, smistamento, archivio, pulizia. I prodotti digitali sono beni condivisibili e senza padrone. Anzi, in un mondo di bit la proprietà stessa diventa uno sforzo collettivo: più che la proprietà conteranno l'uso e il controllo.

Non si può possedere un'idea come se fosse un lingotto d'oro: un'idea, infatti, non vale nulla se non è condivisa. Più è al servizio di tutti, più acquista valore. Ma se non ha un proprietario, chi ne ricava qualcosa?

Nel nuovo sistema sociale gli utenti dovranno assumersi molti dei compiti che un tempo spettavano ai proprietari. E dunque, in un certo modo, l'uso diventerà proprietà...»

Kevin Kelly, Il noleggio batte la proprietà (dal blog di Internazionale.it — leggi tutto)

L'articolo originale Better Than owning (da The Technium di Kevin Kelly)

mercoledì

Sledgehammer


You could have a steam train
If you'd just lay down your tracks
You could have an aeroplane flying
If you bring your blue sky back

All you do is call me
Ill be anything you need

You could have a big dipper
Going up and down, all around the bends
You could have a bumper car, bumping
This amusement never ends

I want to be your sledgehammer
Why dont you call my name
Oh let me be your sledgehammer
This will be my testimony
Show me round your fruitcage
cos I will be your honey bee
Open up your fruitcage
Where the fruit is as sweet as can be

I want to be your sledgehammer
Why dont you call my name
Youd better call the sledgehammer
Put your mind at rest
Im going to be-the sledgehammer
This can be my testimony
Im your sledgehammer
Let there be no doubt about it

Sledge sledge sledgehammer

Ive kicked the habit
Shed my skin
This is the new stuff
I go dancing in, we go dancing in
Oh wont you show for me
And I will show for you
Show for me, I will show for you
Yea, yeah, yeah, yeah, yeah, yeah, I do mean you
Only you
Youve been coming through
Going to build that power
Build, build up that power, hey
Ive been feeding the rhythm
Ive been feeding the rhythm
Going to feel that power, build in you
Come on, come on, help me do
Yeah, yeah, yeah, yeah, yeah, yeah, yeah, yeah, you
Ive been feeding the rhythm
Ive been feeding the rhythm
Its what were doing, doing
All day and night

Peter Gabriel, Sledgehammer, 1986

Intervista a Berlusconi

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(Immagine: Sospensorio)

«Io non sono un uomo di destra. La ragione dell’ampio consenso di cui godo in Italia è dovuta al fatto che le vecchie ideologie non contano più. Chiunque insista a farsene portavoce, è punito dal voto. [...] La sinistra è ancora sotto il ricatto del fanatismo ambientalista. Se avesse vinto avrebbe continuato a perdere tempo prezioso prima di affrontare la politica energetica del paese. Sotto il ricatto delle autorità locali, non avrebbe mai potuto risolvere il problema dei rifiuti. Sotto il ricatto delle minoranze sindacali non avrebbe mai accettato di applicare i criteri di meritocrazia nella pubblica amministrazione e nell’istruzione. [...] Tuttavia la crisi dell’opposizione non può far piacere a nessuno. Anzi, è preoccupante. Il ruolo della minoranza in una democrazia è indispensabile ed è necessario poterlo esercitare in modo costruttivo. Sfortunatamente però, la crisi dell’opposizione italiana sembra destinata a durare a lungo...»

Silvio Berlusconi, primo ministro italiano: “Sono sempre stato assolto perchè i giudici imparziali sono la maggioranza” — da Italiadallestero.info, 8 marzo 2009: leggi tutto

L'articolo originale su El Mundo.es

martedì

Il Dalai Lama racconta

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(Foto: Dani Machlis)

«La mattina del 10 marzo oltre quarantamila persone circondarono il palazzo del Norbulinka, dove si trovava il Dalai Lama, urlando slogan contro i cinesi e a favore dell’indipendenza del Tibet. Chiedevano che il Kundun non lasciasse la sua residenza e giuravano di prenderlo essi stessi sotto la loro protezione dal momento che non si fidavano più del governo. Ci furono anche violenze da parte della folla. Un ministro non venne riconosciuto e preso a sassate, a stento lo si potette salvare. Un altro invece, di cui erano note le simpatie per i cinesi, fu linciato sul posto dalla gente inferocita. Man mano che trascorrevano le ore la folla cominciava ad organizzarsi. Venne eletto un comitato di una sessantina di persone che giurò di impedire, anche a costo della vita, che il Prezioso Protettore cadesse nelle mani cinesi...»

Piero Verni, Il Dalai Lama racconta 10/03/09 (da Lettera22.it: leggi tutto)

Racebook

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«Ci sono quelli semplicemente volgari (Fanculo la Cina e i cinesi), quelli privi di fantasia (Gruppo antisemita), quelli lapidari (Odio Napoli e i napoletani), quelli che provano a dirlo con una battuta (Più rum e meno rom), quelli ambiziosi che vogliono fare le cose in grande (Cacciamo 'sti rumeni dar mondoooooo!!!).

I gruppi razzisti nati su Facebook sono tanti, e sulla pagina Basta con il razzismo su Facebook vengono progressivamente segnalati, monitorati e poi censurati...»

Dal blog Nero su bianco di Jamila Mascat su Internazionale.it: leggi tutto

lunedì

Dai dai contro quel sipario

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Parlavamo di donne, sbirciavamo le loro gambe quando smontavano da un’auto e, di notte, guardavamo dentro le finestre sperando di vedere qualcuno che scopava, ma non vedemmo mai niente. Una volta, finalmente, scoprimmo una coppia che se ne stava a letto e l’uomo stava stropicciandosi la donna. Adesso sì che ci siamo, pensammo, ma lei disse: “No, stasera non ne ho voglia!” Poi si girò di schiena. L’uomo si accese una sigaretta e noi partimmo in cerca di un’altra finestra.
“Figli di troia, a me nessuna volterebbe le spalle.”
“Neanche a me. Bella razza di uomo era quello!”
Eravamo in tre, Baldy, Jimmy e io. Il nostro grande giorno era la domenica. Tutte le domeniche ci davamo appuntamento a casa di Baldy e prendevamo l’autobus fino a Main Street. Il biglietto costava sette centesimi.
Allora c’erano due locali dove si dava il burlesque, il Follies e il Burbank. Eravamo tutti innamorati delle spogliarelliste del Burbank e, visto che anche le battute erano un po’ meglio, andavamo lì. Avevamo provato anche i cinema a luci rosse, ma i film che proiettavano non erano dei veri porno e la trama era sempre la stessa. Due tizi riuscivano a far sbronzare una giovane innocente e questa, prima di riprendersi dalla sbornia, si trovava chiusa in un bordello con una fila di marinai e di fannulloni che bussava alla sua porta. Oltre a tutto in quelle sale i barboni ci dormivano giorno e notte, pisciavano per terra, bevevano vino e si ripulivano le tasche a vicenda. Il puzzo di piscio, di vino e di violenza era insopportabile. Andammo al Burbank.
“Ehi, ragazzi, andate al burlesque oggi?” ci chiedeva il nonno di Baldy.
“Diavolo, no, signore. Abbiamo altro da fare.”
Ci andavamo, invece. Ci andavamo ogni domenica. Partivamo il mattino presto, molto prima che iniziasse lo spettacolo e passeggiavamo su e giù per Main Street, lanciando occhiate nei bar vuoti, sulla cui soglia sedevano le ragazze con le gonne alzate, facendo oscillare le caviglie nel fascio di sole che si insinuava all’interno del locale buio. Sembravano a posto. Ma noi sapevamo. L’avevamo sentito. Un tizio entrava a bere qualcosa e gli facevano sputare una barca di soldi, per il suo drink e per quello della ragazza. Solo che quello della ragazza era annacquato. Lei si faceva palpare per un po’ e tutto finiva lì. Se il barista capiva che il tizio era in grana, gli propinava un narcotico e l’altro si ritrovava per strada, senza un quattrino. Così andavano le cose.
Dopo aver passeggiato lungo Main Street, andavamo alla tavola calda e ordinavamo un hotdog da otto centesimi e un boccale grande di rootbeer. Praticavamo il sollevamento pesi e i nostri bicipiti erano gonfi e sodi. Portavamo le maniche arrotolate fin quasi alla spalla e avevamo un pacchetto di sigarette nella tasca della camicia, sul petto. Per un po’ di tempo avevamo frequentato uno dei corsi Charles Atlas, Tensione Dinamica si chiamava, ma poi avevamo optato per il sollevamento pesi, che ci era sembrato il sistema più rude e più ovvio.
Mentre mangiavamo l’hotdog e ci scolavamo il grande boccale di rootbeer giocavamo a flipper, un centesimo alla partita. Avevamo finito per conoscerlo molto bene, quell’arnese. Al di sopra di un certo punteggio, si vinceva una partita. Ma quel punteggio bisognava raggiungerlo, se volevamo continuare a giocare.
Franky Roosevelt era già stato eletto, le cose stavano cominciando a migliorare ma la depressione non era ancora passata e i nostri padri non avevano lavoro. La provenienza dei nostri quattro soldi era un mistero; l’unica spiegazione era che arraffavamo tutto quello che non era cementato a terra. Non rubavamo, ci pigliavamo la nostra parte. E inventavamo. Non avendo soldi o quasi, inventavamo dei giochetti per passare il tempo... uno era quello di arrivare fino alla spiaggia e tornare indietro.
Di solito lo si faceva d’estate e i nostri genitori non si lamentavano mai quando tornavamo a casa troppo tardi per la cena. Né si preoccupavano delle vesciche gonfie e lucenti che ci spuntavano sulla pianta dei piedi. Solo quando si accorgevano che i tacchi e le suole si erano consumati ne sentivamo di tutti i colori. Allora venivamo spediti al negozio dove erano in vendita, a un prezzo ragionevole, tacchi, suole e colla già pronti.
Era la stessa cosa quando giocavamo a football per le strade. Non esistevano i fondi pubblici per costruire campi da gioco. Avevamo una tale resistenza che giocavamo a football per la strada per tutta la stagione del football e poi per quella del basket e quella del baseball, fino alla stagione calcistica seguente. Quando uno viene placcato sull’asfalto, capita sempre qualcosa. La pelle si squarcia, ci si fanno delle contusioni, esce il sangue, ma ci si rialza come se niente fosse accaduto.
I nostri genitori non badavano ai graffi e al sangue e ai lividi; il peccato tremendo e imperdonabile era farsi un buco nei calzoni, all’altezza delle ginocchia. Ognuno di noi aveva solo due paia di calzoni: quello di tutti i giorni e quello della domenica e se uno si bucava, tutti capivano che eri povero e fesso e che anche i tuoi genitori erano poveri e fessi. Così avevamo imparato a placcare senza cadere in ginocchio. E anche il tizio che veniva placato imparava a essere placcato senza cadere in ginocchio.
Quando ci pestavamo, andavamo avanti per ore senza che i nostri genitori si sognassero di intervenire. Forse perché ci atteggiavamo a duri e non volevamo chiedere aiuto, mentre loro si aspettavano proprio questo. Ma noi li odiavamo, così uscivano sul portico e lanciavano un’occhiata indifferente alla rissa interminabile che si svolgeva davanti a loro. Poi sbadigliavano, raccoglievano un volantino lanciato per reclamizzare qualcosa e tornavano dentro.
Una volta mi pestai con un ragazzo che sarebbe diventato un pezzo grosso della Marina americana. Ci pestammo dalle otto e mezzo del mattino fin dopo il tramonto. Nessuno ci fermò nonostante fossimo ben visibili dal prato antistante la sua casa, sotto due enormi alberi del pepe, da cui i passeri ci cacavano in testa.
Fu un pestaggio feroce, fino all’ultimo sangue. Lui era più grosso, un po’ più vecchio e più pesante di me, ma io ero scatenato. La smettemmo per comune accordo. Non so come sia, bisogna sperimentarlo per capire, ma dopo che due se le sono date di santa ragione per otto o nove ore si stabilisce tra loro uno strano senso di fratellanza.
Il giorno dopo ero un livido solo. Le labbra erano troppo gonfie per permettermi di parlare e qualsiasi movimento facessi mi procurava dolore. Ero sdraiato sul letto in attesa della morte quando mia madre entrò con la camicia che avevo indossato durante il pestaggio. Me la sollevò all’altezza della faccia e mi disse: “Guarda, è tutta macchiata di sangue! Di sangue, capito?”
“Mi dispiace.”
“Non verrà mai più pulita! Mai più!”
“È stato lui a macchiarla.”
“Non importa! Questo è sangue! Le macchie di sangue non vengono via!”
Le domeniche erano giornate rilassanti e quiete, ma soprattutto nostre. Andavamo al Burbank. Prima c’era sempre un brutto film. Un vecchio film, che stavamo a guardare, in attesa. In realtà pensavamo alle ragazze. I tre o quattro tizi che formavano l’orchestra ci davano dentro; forse l’esecuzione non era un granché, ma il volume era alto. Finalmente uscivano le spogliarelliste e si afferravano al sipario, afferravano il bordo come se fosse stato un uomo e si scuotevano contro di esso. Poi scivolavano alla ribalta e cominciavano a spogliarsi. Se avevamo abbastanza soldi ci compravamo un sacchetto di popcorn, altrimenti ne facevamo a meno.
Alla fine di ogni atto c’era un intervallo. Un ometto veniva alla ribalta e proclamava: “Signore e signori, un po’ d’attenzione, prego...” Vendeva anelli in cui era incastonata una diapositiva. Orientandola controluce, si vedeva una straordinaria fotografia. Questo era quello che prometteva! Un anello costava solo cinquanta centesimi, un oggetto di gran valore per soli cinquanta centesimi, prodotto appositamente per il pubblico del Burbank, e venduto unicamente lì. “Alzatelo alla luce e vedrete! Grazie, signori e signore, della vostra cortese attenzione. E ora le maschere passeranno tra voi."
Un paio di individui cenciosi procedevano lungo i corridoi emanando un tanfo di moscato, ciascuno col suo sacchetto di anelli. Non ho mai visto nessuno comprarne uno. Immagino però che, guardandolo controluce, sarebbe apparsa l’immagine di una donna nuda.
L’orchestra riprendeva a suonare, il sipario si apriva e iniziava il numero del balletto, composto in gran parte di ex spogliarelliste invecchiate, truccate pesantemente con mascara, fard, rossetto e ciglia finte. Ce la mettevano tutta per stare a tempo con la musica, ma erano sempre un po’ in ritardo. Eppure tiravano avanti; mi sembravano molto coraggiose.
Poi veniva il turno della cantante. Era un’impresa farselo andare a genio. Cantava a voce spiegata, sbraitando di amori andati a male. Non era un granché e quando finiva allargava le braccia e chinava il capo per ringraziare degli applausi stentati che gli venivano rivolti.
Poi toccava al comico. Be’, lui sì che era in gamba! Vestito con un vecchio soprabito marrone, il cappello calato sugli occhi, camminava goffamente avanti e indietro come un barbone, un barbone che non sapeva cosa fare né dove andare. Una ragazza entrava in palcoscenico e lui la seguiva con gli occhi. Poi si voltava verso il pubblico e diceva con la sua bocca sdentata: “Bene, che io sia dannato!”
Un’altra ragazza entrava in palcoscenico e lui le si avvicinava, accostava la faccia alla sua e diceva: “Sono vecchio, ho superato i quarantaquattro, ma quando il letto si spacca, finisco per terra”. Era la frase decisiva. Che risate! Giovani e vecchi, scoppiavamo tutti a ridere. Infine c’era la scena della valigia. Il comico cercava di aiutare una ragazza a fare la valigia, ma i vestiti si rifiutavano di entrarci.
“Non riesco a farli star dentro!”
“Adesso ti aiuto io!”
“Sono saltati fuori un’altra volta!”
“Aspetta, ci monto sopra con i piedi!”
“Cosa? No, non provarci nemmeno!”
Finalmente le spogliarelliste, le stesse tre o quattro di prima, tornavano in scena. Ognuno di noi aveva la sua preferita, di cui era innamorato. Baldy aveva scelto una francese magrina, con l’asma e due cerchi neri sotto gli occhi. A Jimmy piaceva la donna Tigre (propriamente la Tigre). Gli avevo fatto notare che uno dei seni era nettamente più grosso dell’altro. La mia preferita era Rosalie.
Rosalie aveva un gran culo, che scuoteva e scuoteva, mentre cantava delle canzoncine buffe, e spogliandosi camminava per il palcoscenico, parlando tra sé e ridacchiando. Era l’unica a cui piacesse davvero il suo lavoro. Ero innamorato di Rosalie. Avevo spesso pensato di scriverle per dirle quant’era in gamba, ma, non so come, non l’avevo mai fatto.
Un pomeriggio stavamo aspettando l’autobus dopo lo spettacolo e alla fermata incontrammo la Tigre, anche lei in attesa. Era vestita con un abito verde molto aderente e noi ci incantammo a guardarla.
“Ehi, Jimmy, è la tua ragazza, la Tigre.”
“Ragazzi, che tocco! Guardatela!”
“Adesso vado e le parlo!” disse Baldy.
“È la ragazza di Jimmy.”
“Io non voglio parlarle” disse Jimmy.
“Ci penso io” disse Baldy. Si infilò una sigaretta in bocca, la accese e le si avvicinò.
“Salve, bambina!” Le sorrise.
La Tigre non rispose. Continuò a fissare davanti a sé, in attesa che arrivasse l’autobus.
“Ti conosco. Ho visto lo spettacolo oggi. Sei uno schianto, pupa, un vero schianto!”
La Tigre non rispose.
“Mio Dio, come ti scuoti! Ti scuoti che è un piacere!”
La Tigre continuò a fissare davanti a sé. Baldy rimase lì a guardarla sorridendo come un idiota. “Vorrei metterlo dentro. Vorrei scoparti, bambina!”
Ci avvicinammo e lo trascinammo via. Ci mettemmo a camminare lungo la strada tirandocelo dietro. “Stronzo, non avevi il diritto di parlare in quel modo!”
“Be’, lei vien fuori e si agita tutta, e lo fa davanti agli uomini!”
“Deve ben guadagnarsi da vivere.”
“È calda, è tutta un fuoco, è lei che se lo cerca!”
“Sei pazzo!”
E ce lo tirammo dietro per la strada.


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N
on molto tempo dopo il mio interesse per le domeniche in Main Street cominciò ad affievolirsi. Forse il Follies e il Burbank esistono ancora. Naturalmente la Tigre, la spogliarellista con l’asma e Rosalie, la mia Rosalie, non ci sono più da un pezzo. Forse sono morte. Forse il gran culo di Rosalie è morto. Quando torno nel mio quartiere, passo in macchina davanti alla casa dove abitavo e dove ora vivono degli sconosciuti. Eppure quelle erano delle belle domeniche, in cui ci si divertiva, uno squarcio di luce nei giorni bui della depressione, quando i nostri padri, disoccupati e impotenti, uscivano sul portico e ci guardavano pestarci di santa ragione, poi rientravano e se ne stavano a fissare le pareti, senza osare accendere la radio per via del conto della luce.



Charles Bukowski (16 agosto 1920-9 marzo 1994), Bop Bop against That Curtain (in South of No North), 1973

(Traduzione di Mariagiulia Castagnone — dai racconti A Sud di nessun Nord, Tea editrice, Milano 2003; immagini tratte da Modern Mechanix)

venerdì

Mezzanotte 1

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L'orologio segnò la mezzanotte. Lo scrittore si trovava in quello spazio, fra la veglia e il sonno, nel quale la realtà si increspa e si riavvolge. Tre colpi fecero tremare la porta. Il cigolio di cardini arrugginiti e poi una corrente d'aria gelida. La candela che illuminava lo scrittoio si spense. Nonostante l'oscurità, grazie all'abitudine, ripose la penna precisa dentro il calamaio senza esitazioni. Ascoltò i suoni della notte. Il fogliame degli alberi agitato dal vento. Le vibrazioni delle assi del pavimento. Un respiro pesante alle sue spalle. Il leggero slittare di un coltello affilato su per la sua giugulare. Il sangue che fuorusciva a fiotti a ogni battito del suo cuore... Che bella storia, pensò, se solo potessi mai scriverla!


José Vicente Ortuño, Medianoche 1

La prima delle orrorifiche — e ironiche — mezzanotti del valenciano José Vicente Ortuño (tradotta dal blog letterario Químicamente impuro di Sergio Gaut vel Hartman)

Ministri verdi (insegnamenti dall'estero)

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Londra, 6 marzo 2009: il ministro delle Attività produttive britannico, Lord Peter Mandelson, a favore della terza pista nell'aeroporto di Heatrow, ricoperto di crema verde da un'attivista del gruppo ambientalista Plane Stupid

Il video da YouTube:


mercoledì

Cavallo di Troia

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(Fonte: ibelieveinadv.com)

Rock The Casbah




Now the king told the boogie men
You have to let that raga drop
The oil down the desert way
Has been shakin' to the top
The sheik he drove his Cadillac
He went a' cruisin' down the ville
The muezzin was a' standing
On the radiator grille

Sharif don't like it
Rockin the casbah
Rock the casbah
Sharif don't like it
Rockin the Casbah
Rock the Casbah


By order of the prophet
We ban that boogie sound
Degenerate the faithful
With that crazy Casbah sound
But the Bedouin they brought out
The electric kettle drum
The local guitar picker
Got his guitar picking thumb
As soon as the sherif
Had cleared the square
They began to wail

Sharif don't like it
Rockin the casbah
Rock the casbah
Sharif don't like it
Rockin the Casbah
Rock the Casbah


Now over at the temple
Oh! They really pack 'em in
The in crowd say it's cool
To dig this chanting thing
But as the wind changed direction
The temple band took five
The crowd caught a wiff
Of that crazy Casbah jive

Sharif don't like it
Rockin the casbah
Rock the casbah
Sharif don't like it
Rockin the Casbah
Rock the Casbah


The king called up his jet fighters
He said you better earn your pay
Drop your bombs between the minarets
Down the Casbah way

As soon as Sharif was
Chauffeured outta there
The jet pilots tuned to
The cockpit radio blare

As soon as Sharif was
Outta their hair
The jet pilots wailed

Sharif don't like it
Rockin the casbah
Rock the casbah
Sharif don't like it
Rockin the Casbah
Rock the Casbah

Sharif don't like it
Rock the casbah
(He thinks it's not kosher)
Rock the casbah
Sharif don't like it
Rock the Casbah
(Fundamentally he can't take it.)
Rock the Casbah
Sharif don't like it
Rock the Casbah
(You know he really hates it.)
Rock the Casbah


The Clash, Rock The Casbah, 1982

Incomprensibilità reciproca

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Quando un anglofono ascolta una lingua che non capisce dice: «Per me è greco».

Un greco invece dice: «Per me è arabo». E anche un italiano.

E come dirà un arabo?

Da Language Log la tavola dell'incomprensione reciproca

Il marchio della preghiera

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Qinghai, Cina.

Il monaco tibetano Hua Chi.

Duemila preghiere al giorno, ogni giorno.

La fotogallery (da Repubblica.it)

martedì

«Uomini delle ronde, siete pronti?»

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Da La settimana di Gipi — su Internazionale.it

Il blog di Gipi

Muto

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Dai muri di Buenos Aires un'opera davvero unica (da Blublu.og — clicca sull'immagine per il download del video)

Blublu.org su Narcolessia delle giraffe