venerdì

Mortale

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(Foto: Mara Damian)


Un uomo chiamato Mortale giunse nel villaggio di Omares e disse al primo bambino che incontrò:
— Avvisa il vecchio più vecchio del villaggio che c’è un forestiero che ha urgentemente bisogno di parlare con lui.
Il bambino avvisò il vecchio Arcino e lo accompagnò per mano fin dove l’uomo, molto nervoso, lo attendeva con trepidazione.
— Si può sapere cos’è che volete e qual è la ragione di così tanta fretta? — gli domandò il vecchio Arcino.
— Sono Mortale — disse l’uomo senza guardarlo.
— Lo siamo tutti — disse il vecchio Arcino. — Mortale non è un nome, mortale è una condizione.
— E allora, anche se si trattasse di una condizione, voi sareste capace di abbracciarmi…? — domandò l’uomo.
— Preferisco baciare questo bambino che dare un abbraccio a un forestiero, ma se questo può tranquillizzarvi, non mi tirerò indietro. Non è strano che, con un nome del genere, voi andiate per il mondo con l’anima in pena.
Si abbracciarono ai piedi dell’albero più vicino.
— Mortale di morte e numero di morti — bisbigliò l’uomo all’orecchio del vecchio Arcino. — Chi non lo capisce, peggio per lui. Il mio mandato non è altro se non quello che il mio nome indica.
Non c’è più tempo, la vecchiaia è incompatibile con l’eternità.
— Avevi così fretta? — chiese l’anziano, mentre sentiva che la vita gli scivolava via dalle braccia e dalle mani tanto che l’uomo poteva reggerlo a stento.
— Non lamentarti, che sono pochi quelli che vivono a lungo.
— Non mi lamento che tu sia venuto qui per me, mi dà dispiacere tu l’abbia fatto con l’inganno, e di aver visto questa povera creatura che correva spaventata…


Luis Mateo Díez, Mortal, 1993

La crudeltà cieca della Morte e il garbo della Vecchiaia secondo il leonese Luis Mateo Díez (tradotto dall'antologia Los males menores, Colección Austral 2002)

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