martedì

Aspettando il G8 — uno sguardo all'indietro

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«Per la prima volta, in questo film parlano le persone che ebbero responsabilità istituzionale negli eventi e la "catena di comando" incomincia a essere ricostruita. Il clima dell'epoca, le responsabilità di governo, il vuoto e gli alibi che si crearono i responsabili stessi, il ruolo che svolse il vicepresidente del Consiglio Fini, unico membro del governo ad essere operativo sul posto. Quello che seppe l'opposizione politica, i tentativi falliti di mediazione. Le testimonianze dei giornalisti e i filmati della Rai che impedirono il silenzio.»

G8/2001. Fare un golpe e farla franca — un film di Beppe Cremagnani e Enrico Deaglio, Luben Production

Lettera al cardinal Bagnasco

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(Evelyn Pickering de Morgan, The Worship of Mammon, 1909)

«... Agli occhi della nostra gente voi, vescovi taciturni, siete corresponsabili e complici, sia che tacciate sia che, ancora più grave, tentiate di sminuire la portata delle responsabilità personali. Il popolo ha codificato questo reato con il detto: è tanto ladro chi ruba quanto chi para il sacco. Perché parate il sacco a Berlusconi e alla sua sconcia maggioranza? Perché non alzate la voce per dire che il nostro popolo è un popolo drogato dalla tv, al 50% di proprietà personale e per l'altro 50% sotto l'influenza diretta del presidente del consiglio? Perché non dite una parola sul conflitto d'interessi che sta schiacciando la legalità e i fondamentali etici del nostro Paese? Perché continuate a fornicare con un uomo immorale che predica i valori cattolici della famiglia e poi divorzia, si risposa, divorzia ancora e si circonda di minorenni per sollazzare la sua senile svirilità? Perché non dite che con uomini simili non avete nulla da spartire come credenti, come pastori e come garanti della morale cattolica? Perché non lo avete sconfessato quando ha respinto gli immigrati, consegnandoli a morte certa?

Non è lo stesso uomo che ha fatto un decreto per salvare ad ogni costo la vita vegetale di Eluana Englaro? Non siete voi gli stessi che difendete la vita "dal suo sorgere fino al suo concludersi naturale"? La vita dei neri vale meno di quella di una bianca? Fino a questo punto siete stati contaminati dall'eresia della Lega e del berlusconismo? Perché non dite che i cattolici che lo sostengono in qualsiasi modo, sono corresponsabili e complici dei suoi delitti che anche l'etica naturale condanna? Come sono lontani i tempi di Sant'Ambrogio che nel 390 impedì a Teodosio di entrare nel duomo di Milano perché "anche l'imperatore é nella Chiesa, non al disopra della Chiesa". Voi onorate un vitello d'oro.

Io e, mi creda, molti altri credenti pensiamo che lei e i vescovi avete perduto la vostra autorità e avete rinnegato il vostro magistero perché agite per interesse e non per verità. Per opportunismo, non per vangelo. Un governo dissipatore e una maggioranza, schiavi di un padrone che dispone di ingenti capitali provenienti da "mammona iniquitatis", si è reso disposto a saldarvi qualsiasi richiesta economica in base al principio che ogni uomo e istituzione hanno il loro prezzo. La promessa prevede il vostro silenzio che - è il caso di dirlo - è un silenzio d'oro? Quando il vostro silenzio non regge l'evidenza dell'ignominia dei fatti, voi, da esperti, pesate le parole e parlate a suocera perché nuora intenda, ma senza disturbarla troppo: "troncare, sopire ... sopire, troncare".

... Lei ha parlato di "emergenza educativa" che è anche il tema proposto per il prossimo decennio e si è lamentato dei "modelli negativi della tv". Suppongo che lei sappia che le tv non nascono sotto l'arco di Tito, ma hanno un proprietario che è capo del governo e nella duplice veste condiziona programmi, pubblicità, economia, modelli e stili di vita, etica e comportamenti dei giovani ai quali non sa offrire altro che la prospettiva del "velinismo" o in subordine di parlamentare alle dirette dipendenze del capo che elargisce posti al parlamento come premi di fedeltà a chi si dimostra più servizievole, specialmente se donne. Dicono le cronache che il sultano abbia gongolato di fronte alla sua reazione perché temeva peggio e, se lo dice lui che è un esperto, possiamo credergli. Ora con la benedizione del vostro solletico, può continuare nella sua lasciva intraprendenza e nella tratta delle minorenni da immolare sull'altare del tempio del suo narcisismo paranoico, a beneficio del paese di Berlusconistan, come la stampa inglese ha definito l'Italia.

Egregio sig. Cardinale, possiamo sperare ancora che i vescovi esercitino il servizio della loro autorità con autorevolezza, senza alchimie a copertura dei ricchi potenti e a danno della limpidezza delle verità come insegna Giovanni Battista che all'Erode di turno grida senza paura per la sua stessa vita: "Non licet"? Al Precursore la sua parola di condanna costò la vita, mentre a voi il vostro "tacere" porta fortuna.

In attesa di un suo riscontro porgo distinti saluti.

Genova 31 maggio 2009
Paolo Farinella, prete
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"Perché trattate così bene Berlusconi?" Don Farinella scrive al cardinal Bagnasco — da Repubblica.it 24 giugno 2009: leggi tutto

giovedì

Challenge Your World 20/20

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Challenge Your World 20/20: 20 artisti e 20 idee meccaniche per risolvere i problemi dell'ambiente.

Dall'alto: Recycle Invaders di Thiago Maia, The Crown Jewel di Babe e Greg, Retrocycling Robot di Sebastian Baptista

mercoledì

Melanochítones

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(Immagine da Ta Nea Online)

«Ha provocato scalpore in Italia la formazione di una nuova milizia di estrema destra con simboli fascisti e nazisti sulle uniformi dei propri membri. L’opposizione, le organizzazioni ebraiche ma anche i sindacati di polizia accusano il governo Berlusconi di aver varato un disegno di legge che porterà a conseguenze incontrollabili.

Il nuovo "gruppo" è stato presentato nel fine settimana a Milano durante l’assemblea di un piccolo partito neofascista, il Movimento Sociale Italiano-Destra Nazionale (MSI-DN). Sia sul berretto che indosseranno i suoi membri, sia sullo stemma che avranno sulle loro uniformi, figura un’aquila imperiale, spesso associata con il fascismo. Inoltre, sul bracciale è presente un "Sole Nero", o Sonnenrad, un simbolo esoterico popolare fra i neo-nazisti tedeschi, in quanto può essere ricondotto a tre svastiche. E se questo non bastasse per rendere chiaro quale sia l’orientamento della Guardia Nazionale Italiana, almeno due suoi relatori hanno sollevato la loro mano per il saluto fascista durante l’assemblea.

"Non siamo camicie nere, non siamo fascisti, non siamo nazisti. Siamo patrioti italiani e vogliamo la libertà", sostiene nel sito web della Guardia Nazionale Italiana il suo presidente e leader del MSI-DN, Gaetano Saya, che ha chiamato gli immigrati "pericolo per la razza italiana" e nel 2004 fu citato in giudizio per istigazione all’odio razziale. "Siamo apolitici. Né neri, né verdi, né gialli", ha insistito Saya a "El Pais"...»

Kitty Xenakis, Resuscitano le camicie nere (da Ta Nea Online del 16 giugno 2009): leggi tutta la traduzione su Italia dall'estero.info

L'articolo originale Ζωντανεύουν οι μελανοχίτωνες

martedì

Le rovine circolari

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"And if he let off dreaming about you..."
Through the Looking-Glass, IV

Nessuno lo vide sbarcare nella notte unanime, nessuno vide la canoa di bambù incagliarsi nel fango sacro; ma pochi giorni dopo, nessuno ignorava che l'uomo taciturno veniva dal Sud e che la sua patria era uno degli infiniti villaggi che sono a monte del fiume, nel fianco violento della montagna, dove l'idioma Zend non è contaminato dal gerco, e dove la lebbra è infrequente. L'uomo grigio baciò il fango, montò sulla riva senza scostare (probabilmente senza sentire) i rovi che gli laceravano le carni, e si trasse melmoso e insanguinato fino al recinto circolare che corona una tigre o cavallo di pietra, che fu una volta del colore del fuoco ed è ora di quello della cenere. Questa rotonda è ciò che resta d'un tempio che antichi incendi divorarono, cui profanò la vegetazione delle paludi, e il cui dio non riceve più onori dagli uomini. Lo straniero si stese ai piedi della statua. Si svegliò a giorno fatto. Constatò senza stupore che le ferite s'erano cicatrizzate; chiuse gli occhi pallidi e dormì, non per stanchezza della carne ma per determinazione della volontà. Sapeva che questo tempio era il luogo che conveniva al suo invincibile proposito; sapeva che gli alberi incessanti non erano riusciti a soffocare, più a valle, le rovine d'un altro tempio propizio, anch'esso di dèi incendiati e morti; sapeva che il suo obbligo immediato era il sonno. Verso la mezzanotte lo svegliò il grido inconsolabile d'un uccello. Orme di piedi nudi, alcune frutta e un bacile l'informarono che la gente del luogo aveva spiato con rispetto il suo sonno e sollecitava la sua protezione, o temeva la sua magia. Sentì il freddo della paura e cercò nella muraglia dilapidata una nicchia sepolcrale, si coprì con foglie sconosciute.
Il proposito che lo guidava non era impossibile, anche se soprannaturale. Voleva sognare un uomo: voleva sognarlo con minuziosa interezza e imporlo alla realtà. Questo progetto magico aveva esaurito l'intero spazio della sua anima; se alcuno gli avesse chiesto il suo nome, o un tratto qualunque della sua vita anteriore, non avrebbe saputo rispondere. Gli conveniva il tempio disabitato e rotto, perché era un minimo di mondo visibile; anche gli conveniva la vicinanza dei contadini, perché s'incaricavano di sovvenire ai suoi bisogni frugali. Il riso e le frutta del loro tributo erano pascolo sufficiente al suo corpo, consacrato all'unico compito di dormire e di sognare.
Al principio i sogni furono caotici; poco dopo, di natura dialettica. Lo straniero si sognava nel centro di un anfiteatro circolare che era in qualche modo il tempio incendiato; nubi di alunni taciturni ne appesantivano i gradini; i volti degli ultimi si perdevano a molti secoli di distanza e ad un'altezza stellare, ma erano del tutto precisi. L'uomo dettava lezioni d'anatomia, di cosmografia, di magia: quei volti ascoltavano con ansietà e procuravano di rispondere con senno, come se indovinassero l'importanza di quell'esame, che avrebbe riscattato uno di loro dalla condizione di vana apparenza, e l'avrebbe interpolato nel mondo reale. Nel sogno o più tardi, da sveglio, l'uomo considerava le risposte dei suoi fantasmi, non si lasciava ingannare dagli impostori, indovinava in certe perplessità un'intelligenza crescente. Cercava un'anima che meritasse di partecipare all'universo.
Dopo nove o dieci notti comprese che non poteva sperare in quegli alunni che accettavano passivamente la sua dottrina, ma sì in quelli che arrischiavano, a volte, una contraddizione ragionevole. I primi, sebbene degni di amore e di buon affetto, non potevano aspirare alla condizione di individuo; gli altri preesistavano un poco di più. Un pomeriggio (ormai anche i pomeriggi erano tributari del sonno, ormai non vegliava che un paio d'ore al mattino) congedò per sempre il vasto collegio illusorio e restò con un solo alunno. Era un ragazzo taciturno, melanconico, discolo qualche volta, dai tratti affilati che ripetevano quelli del suo sognatore. La brusca eliminazione dei suoi condiscepoli non lo scncertò troppo a lungo; dopo poche lezioni, i suoi progressi già meravigliavano il maestro. Ma ecco, sopravvenne la catastrofe. Un giorno, l'uomo emerse dal sonno come da un deserto viscoso, guardò la luce vana d'un tramonto che prese per un'aurora, comprese di non aver sognato. Tutta quella notte e tutto il giorno seguente la lucidità intollerabile dell'insonnia s'abbatté su di lui. Volle esplorare la selva, estenuarsi; ma poté appena, tra la cicuta, dormire pochi frammenti di sonno debole, fugacemente trasversati da visioni di tipo rudimentale: inservibili. Volle convocare il collegio, ma aveva appena articolato poche parole d'esortazione che quello si deformò, si cancellò. Nella veglia quasi perpetua, lagrime di rabbia bruciavano i suoi vecchi occhi.


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Comprese che l'impegno di modellare la materia incoerente e vertiginosa di cui si compongono i sogni è il più arduo che possa assumere un uomo, anche se penetri tutti gli enigmi dell'ordine superiore e dell'inferiore: molto più arduo che tessere una corda di sabbia o monetare il vento senza volto. Comprese che un insuccesso iniziale era inevitabile. Giurò di dimenticare l'enorme allucinazione che l'aveva sviato al principio, e cercò un altro metodo di lavoro. Prima di applicarlo, dedicò un mese al recupero delle forze che aveva sprecato nel delirio. Non premeditò più di sognare, e quasi immediatamente gli riuscì di dormire per un tratto ragionevole del giorno. Le rare volte che sognò durante questo periodo, non fece attenzione ai suoi sogni. Per riprendere l'impresa, aspettò che il disco della luna fosse perfetto. allora, di sera, si purificò nelle acque del fiume, adorò gli dèi planetari, pronunciò le sillabe lecite d'un nome poderoso e dormì. Quasi subito, sognò un cuore che palpitava.
Lo sognò attivo, caldo, segreto, della grandezza d'un pugno serrato, color granata nella penombra d'un corpo umano ancora senza volto né sesso; con minuzioso amore lo sognò, durante quattordici lucide notti. Ogni notte lo percepiva con maggiore evidenza. Non lo toccava: si limitava ad esserne testimone, a osservarlo, talvolta a correggerlo con lo sguardo. Lo percepiva, lo viveva, da molte distanze e sotto molti angoli. La quattordicesima notte sfiorò con l'indice l'arteria polmonare e poi tutto il cuore, di fuori e di dentro. L'esame lo soddisfece. Deliberatamente non sognò durante tutta una notte; poi riprese il cuore, invocò il nome di un pianeta e passò alla visione d'un altro degli organi principali. In meno d'un anno giunse allo scheletro, alle palpebre. La capigliatura innumerevole fu forse il compito più difficile. Sognò un uomo intero, un giovane, che però non si levava, né parlava, né poteva aprire gli occhi. Per notti e notti continuò a sognarlo addormentato.
Nelle cosmogonie gnostiche, i demiurghi impastano un rosso Adamo che non riesce ad alzarsi in piedi; così inabile, rozzo ed elementare come quest'Adamo di polvere, era l'Adamo di sogno che le notti del mago avevano fabbricato. Una sera, l'uomo fu quasi per distruggere tutta l'opera, ma si pentì. (Più gli sarebbe valso distruggerla). Fatto ogni voto ai numi della terra e del fiume, si gettò ai piedi dell'effigie che era forse una tigre o forse un cavallo, e implorò il suo sconosciuto soccorso. Sul crepuscolo dello stesso giorno, sognò questa statua. La sognò viva, tremula; non era un atroce bastardo di cavallo e di tigre, ma queste due veementi creature ad un tempo, e anche un toro, una rosa, una tempesta. Questo molteplice iddio gli rivelò che il suo nome era Fuoco, che in quel tempio circolare (e in altri eguali) gli erano stati offerti i sacrifici e reso il culto, e che magicamente avrebbe animato il fantasma sognato, in modo che tutte le creature, eccetto il Fuoco stesso e il creatore, l'avrebbero creduto un uomo di carne e di ossa. Gli ordinò di inviarlo, una volta istruitolo nei riti, nell'altro tempio in rovina le cui torri sussistevano più a valle, affinché una voce tornasse a glorificare il fuoco in quell'edificio deserto. Nel sonno dell'uomo che lo sognava, il sognato si svegliò.
Il mago eseguì gli ordini. Dedicò qualche tempo (e furono finalmente due anni) a scoprirgli gli arcani dell'universo e del culto del fuoco. Nell'intimo, gli doleva di separarsi da lui. Col pretesto della necessità pedagogica, allungava ogni giorno le ore dedicate al sonno. Rifece anche l'omero destro, forse mal riuscito. A volte, l'inquietava un'impressione che tutto quello fosse già avvenuto... In complesso, i suoi giorni erano felici; chiudendo gli occhi pensava: "Ora starò con mio figlio". O, più di rado: "Il figlio che ho generato m'aspetta, e non esisterà se non vado".
Gradualmente, lo venne avvezzando alla realtà. Una volta gli comandò di imbandierare una cima lontana. Il giorno dopo, sul monte, fiammeggiava la bandiera. Tentò altri esperimenti di questo genere, ogni volta più audaci. Comprese con una certa amarezza che suo figlio era pronto per nascere. Quella stessa notte, per la prima volta, lo baciò, e lo inviò all'altro tempio, le cui vestigia biancheggiavano a valle, a molte leghe di selva inestricabile e di acquitrini. Prima (perché non sapesse mai che era un fantasma, perché si credesse un uomo come gli altri) gl'infuse l'oblivio totale dei suoi anni di apprendistato.


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La sua vittoria e la sua pace non furono senza melanconia. All'alba e al tramonto si prosternava dinanzi alla figura di pietra, pensando forse che il suo figlio irreale stesse eseguendo riti identici, in altre rovine circolari, più a valle; la notte non sognava, o sognava come gli altri uomini. Percepiva un poco impalliditi i suoni e le forme del'universo: il figlio assente si nutriva di queste diminuzioni della sua anima. Lo scopo della sua vita era raggiunto; continuava a vivere in una specie d'estasi. Dopo un certo tempo che alcuni narratori della sua storia preferiscono di computare in anni, altri in lustri, lo svegliarono a mezzanotte due rematori; non ne vide i volti, ma gli parlarono di un uomo magico, in un tempio del Nord, capace di camminare nel fuoco senza bruciarsi. Il mago ricordò bruscamente le parole del dio. Ricordò che di tutte le creature che compongono l'orbe, il fuoco era l'unica a sapere che suo figlio era un fantasma. Questo ricordo, tranquillante al principio, finì per tormentarlo. Temette che suo figlio meditasse su questo strano privilegio e scoprisse in qualche modo la sua condizione di mero simulacro. Non essere un uomo, essere la proiezione del sogno di un altr'uomo: che umiliazione incomparabile, che vertigine! A ogni padre interessano i figli che ha procreato (che ha permesso) in una mera confusione o felicità; è naturale che il mago temesse per l'avvenire di quel figlio, pensato viscere per viscere e lineamento per lineamento, in mille e una notte segrete.
Il termine del suo rimuginare fu brusco, ma lo precedettero alcuni segni. Primo (dopo una lunga siccità) una remota nube sopra un colle, leggera come un uccello; poi, verso sud, un cielo rosa come la gengiva del leopardo; poi le fumate, che arrugginirono il metallo delle notti; infine la fuga impazzita delle bestie. Poiché si ripete ciò che era già accaduto nei secoli. Le rovine del santuario del dio del fuoco furono distrutte dal fuoco. In un'alba senza uccelli il mago vide avventarsi contro le mura l'incendio concentrico. Pensò, un istante, di rifugiarsi nell'acqua; ma comprese che la morte veniva a coronare la sua vecchiezza e ad assolverlo dalle sue fatiche. Andò incontro ai gironi di fuoco: che non morsero la sua carne, che lo accarezzarono e inondarono senza calore e senza combustione. Con sollievo, con umiliazione, con terrore, comprese che era anche lui una parvenza, che un altro stava sognandolo.



Jorge Luis Borges, Las ruinas circulares (in El jardín de senderos que se bifurcan, 1941Finzioni, Einaudi 1961)

lunedì

Borges — The Mirror Man

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Jorge Luis Borges (1899-1986) e la sua opera.

Un documentario di Philippe Molines.

Le creature che divorarono Hollywood

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Da Moby Dick ad Alien, fino all'orrendo mostro di Cloverfield.

La gallery di The Creatures that Ate Hollywood (da Wired.com)

venerdì

Home

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Uno sguardo (meraviglioso) alla Terra.

Un film di Yann Arthus-Bertrand.

giovedì

Iran — il voto appassionato dei giovani

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Controllo

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A Euge, che mi ha dato l'idea

— Se potessi controllare i miei sogni sognerei Angelina Jolie.
— Sì, e lei vorrebbe sognare te. Vattene a dormire nonno, che domani compi 207 anni. — Mi allontanai schifato dal vecchio, che sembrava avere solo trentacinque o quarant'anni, borbottando contro gli scienziati che si impegnano a prolungare la vita oltre il ragionevole. Chi sarà mai Angelina Jolie?


Sergio Gaut vel Hartman, Control

(Testo tradotto dal blog dell'autore Químicamente impuro)

L'argentino Sergio Gaut vel Hartman: la rivista
«Sinergia» e gli altri due blog: Ráfagas, parpadeos e Breves no tan breves

Sergio Gaut vel Hartman su Narcolessia delle giraffe

martedì

Virtual Insanity

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Ooo Heh heh, Oh, what we’re living in, let me tell ya
It is a wonder man can eat at all
When things are big that should be small
Who can tell what magic spells we’ll be doing for us
And I’m giving all my love to this world
Only to be told
I can’t see, I can’t breathe
No more will we be
And nothing’s going to change the way we live
’Cause we can always take but never give
And now that things are changing for the worse
See, whoa, it’s a crazy world we’re living in
And I just can’t see that half of us immersed in sin
Is all we have to give these

Futures made of virtual insanity now
Always seem to be governed by this love we have for
Useless, twisting, of our new technology
Oh now there is no sound, for we all live underground

And I’m thinking what a mess we’re in
Hard to know where to begin
If I could slip the sickly ties that earthly man has made
And now every mother can choose the colour of her child
That’s not nature’s way
Well that’s what they said yesterday
There’s nothing left to do but pray
I think it’s time to find a new religion
Whoa, It’s so insane
To synthesize another strain
There’s something in these
Futures that we have to be told

Futures made of virtual insanity now
Always seem to be governed by this love we have for
useless, twisting, of our new technology
Oh now there is no sound, for we all live underground

Now there is no sound if we all live underground
If there was virtual insanity
Forget your virtual reality
Oh, there's nothing so bad
As a man-made man, oh yeah, I know yeah
Ooh

Futures made of virtual insanity now
Always seem to be governed by this love we have for
Useless, twisting, of the new technology
Oh now there is no sound, for we all live underground

Now this life that we live in
It's so wrong
Shout out the window
Do you know that
There is nothing worse than a man-made man
Still there's nothing worse than a foolish man, hey

Virtual insanity is what we're living in
Yeah, it is alright

Jamiroquai, Virtual Insanity, 1996

Zing

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Salva il puntino trascinandolo via dall'assalto dei mostri...

lunedì

Ultime volontà

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(Immagine: Amyko)


Dopo aver vissuto 969 anni, Matusalemme alla fine agonizzava. Accanto a sé non aveva nessun essere caro, poiché tutti erano morti da parecchi secoli. La serva anonima, che gli prestava umilmente le ultime cure, aveva cominciato a fingersi sorda quando Matusalemme le aveva confessato che la sua ultima volontà era di scrivere le memorie della sua vita.


Alejandro Ramírez Giraldo, Última voluntad

(Traduzione dal blog dell'autore colombiano, Cuentos cortos)

Alejandro Ramírez Giraldo su Narcolessia delle giraffe

Asperatus — una nuova nuvola

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«L’apparizione di un inedito tipo di nuvola nel "bestiario" meteorologico è un fatto rarissimo.
Eppure è quello che si è prodotto, con l’asperatus, una formazione nuvolosa impressionante.
Delle strane forme di nuvole hanno fatto recentemente capolino nei cieli della Gran Bretagna e della Nuova Zelanda, ma anche in altri luoghi del globo.
Particolarmente tormentate e opache, esse rassomigliano al mare agitato e oscurano considerabilmente il paesaggio, dando l’impressione di annunciare una violenta tempesta.
Eppure, esse finiscono sempre col dissiparsi senza produrre niente di particolarmente grave.
Queste nubi sono apparse su delle foto trasmesse regolarmente dai membri della Cloud Appreciation Society.
"Abbiamo provato ad identificare e classificare tutte le immagini di nubi che abbiamo, ma ce ne erano che non facevano parte di alcuna categoria, ho cominciato dunque a pensare che questo poteva essere un unico tipo di nube", racconta Gavin Pretor-Pinney, il fondatore dell’associazione...»

Jean Etienne, Futura-sciences.com, L’Asperatus: una nuova nuvola! (leggi tutta la traduzione su Disinformazione.it)

venerdì

Come fu che il leopardo si procurò le macchie

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Nei giorni in cui tutto ebbe inizio, Tesoro Mio, il Leopardo abitava in un luogo chiamato «Prateria Alta». Ricorda, non la «Prateria Bassa» o la «Prateria Selvaggia» e nemmeno la «Prateria Brulla», ma la calda, spoglia e luminosa Prateria Alta, dove vi era esclusivamente sabbia, roccia color della sabbia e ciuffi di erba giallognola-rossiccia. Lì vivevano anche la Giraffa, la Zebra, l'Antilope, il Cudù e l'Antilope sudafricana. Ed erano tutti dello stesso colore marroncino-giallo-rossiccio. Ma il più marroncino-giallognolo-rossiccio di tutti era il Leopardo: un grande felino il cui pelo si mimetizzava perfettamente con l'unico colore marroncino-giallognolo-grigiastro della Prateria Alta. E questo era un bel guaio per la Giraffa, la Zebra e tutti gli altri, perché il Leopardo si appostava dietro a una roccia o a un ciuffo d'erba marroncino-giallognolo-grigiastro e, non appena la Giraffa o la Zebra o l'Antilope o il Cudù o il Cervo o il Camoscio passavano nei pressi, li sorprendeva con un balzo e li azzannava. E non c'era proprio via di scampo! C'era anche un Etiope con archi e frecce (allora era un uomo dal colorito giallognolo-marroncino-grigiastro), che viveva nella Prateria Alta col Leopardo. I due andavano sempre a caccia insieme, l'Etiope con i suoi archi e le sue frecce, e il Leopardo unicamente con i suoi artigli e i suoi denti ... tanto che la Giraffa, l'Antilope, il Cudù, la Quagga e tutti gli altri animali non sapevano più dove rifugiarsi, Tesoro Mio. Proprio non lo sapevano!

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Molto tempo dopo - allora le cose restavano immutate per lungo tempo - gli animali trovarono il modo per sfuggire a tutto ciò che somigliava a un Leopardo o a un Etiope. E uno alla volta, la Giraffa per prima perché aveva le zampe più lunghe, abbandonarono la Prateria Alta. Fuggirono per giorni e giorni, finché non giunsero a una grande foresta, ricca di alberi, cespugli e strane ombre a quadri, a righe e a macchie, e lì si nascosero. Col trascorrere dei giorni, chi esponendosi per metà alla luce del sole e per metà all'ombra, chi lasciandosi scivolare addosso le ombre proiettate dagli alberi, i nostri animali si trasformarono. E così la Giraffa divenne a chiazze, la Zebra a strisce, il manto dell'Antilope e del Cudù si scurì e si coprì di piccole linee ondulate sul dorso, come quelle della corteccia su un tronco di albero. In questo modo, anche se si poteva udirli e fiutarli, difficilmente li si riusciva a vedere, e solo se si sapeva con precisione in che punto guardare. Essi vivevano felici e beati nelle ombre a chiazze e strisce della foresta, mentre il Leopardo e l'Etiope continuavano a correre di qua e di là nella loro rossiccia-giallognola-oro-rossiccia-giallognola-grigiastra Prateria Alta, domandandosi dove fossero finite tutte le loro colazioni, i loro pranzi e le loro merende. Erano a tal punto affamati che finirono col mangiare ratti, scarafaggi e iraci; e così venne a tutti e due il grande Mal-di-Pancia. Fu allora che incontrarono Baviaan, il Babbuino dalla testa di cane, che abbaia, e che è considerato l'Animale Più Saggio di tutto il Sudafrica. Il Leopardo chiese a Baviaan (ed era una giornata davvero calda!): "Dov'è andata tutta la selvaggina?" Baviaan sogghignò, poiché lui lo sapeva. Allora l'Etiope domandò: "Mi sai dire qual' è l'attuale habitat della Fauna aborigena?" (che era la stessa cosa, ma l'Etiope usava sempre gran paroloni, era un adulto lui!) E Baviaan ghignò di nuovo: lui sì che lo sapeva. Poi rispose: "La selvaggina si è data alla macchia e, se vuoi un consiglio, Leopardo, datti alla macchia anche tu senza indugio". "Tutto ciò è molto interessante," replicò l'Etiope "ma io vorrei sapere dove è migrata la Fauna aborigena." Allora Baviaan spiegò: "La Fauna aborigena ha raggiunto la Flora aborigena perché era giunta l'ora di un cambiamento e, se vuoi un consiglio, Etiope, fa in modo di cambiare anche tu quanto prima." La risposta di Baviaan lasciò il Leopardo e l'Etiope piuttosto perplessi; tuttavia decisero di partire alla ricerca della Flora aborigena.

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Finalmente, dopo lunghi giorni, avvistarono una grande e fitta foresta, i cui alberi erano tutti immersi in strane ombre a chiazze, a pallini, a spruzzi, a strisce, a righe e a diagonali. (Prova a ripeterlo ad alta voce e vedrai come doveva essere piena di ombre quella foresta!) "Che razza di posto è questo, tutto buio e allo stesso tempo inondato di fasci di luce?", disse il Leopardo. "Non lo so, disse l'Etiope, ma dev'essere la Flora aborigena. Sento l'odore della Giraffa e la sento muoversi, ma non riesco a vederla." "È curioso", - replicò il Leopardo - "suppongo che sia dovuto al fatto che veniamo dalla luce abbagliante del sole. Io sento l'odore della Zebra e la sento muoversi, ma non riesco a vederla." "Aspetta un attimo," - disse l'Etiope - "forse ci siamo scordati come sono fatte, è da tanto tempo che non diamo loro la caccia!" "Sciocchezze!" - disse il Leopardo - "me le ricordo perfettamente, come erano nella Prateria Alta, e soprattutto ricordo bene il sapore delle loro ossa. La Giraffa è alta circa cinque metri e ha un pelo tutto giallo-oro-fulvo, dalla testa ai piedi, e la Zebra è alta circa un metro e trenta ed è tutta ricoperta di un manto grigio-fulvo." "Hmm," - disse l'Etiope guardando le ombre a chiazze della foresta aborigena - "se così fosse, in un posto così buio, le si dovrebbe vedere come banane mature in un affumicatoio". Ma non si vedevano affatto. Il Leopardo e l'Etiope cacciarono tutto il giorno e, benché sentissero il rumore e l'odore degli animali, non riuscirono a vederne nessuno. "Per l'amor di Dio" - disse il Leopardo all'ora di merenda - "è proprio una vergogna: abbiamo cacciato tutto il giorno senza alcun risultato. Proviamo ad aspettare che faccia buio!" Così attesero pazienti il calare della notte e, a un certo punto, il Leopardo udì accanto a sé un respirare profondo e vide, nel chiarore stellare, qualcosa tutto a strisce precipitare in mezzo ai rami. Il rumore lo fece sobbalzare: sentì l'odore della Zebra, ebbe l'impressione di toccare la Zebra e, quando la atterrò, riconobbe i calci della Zebra, ma non riusciva a vederla. Allora disse: "Non ti muovere, corpo senza forma! Starò seduto sulla tua testa fin quando farà giorno, perché qui c'è qualcosa che non mi convince."

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Di lì a poco udì un grugnito, uno schianto e un parapiglia, e poi sentì l'Etiope gridare: "Ho acchiappato qualcosa che non vedo: ha l'odore della Giraffa e mena calci come la Giraffa, ma non ha alcuna forma." "Non fidarti!" - lo ammonì il Leopardo - "Fa come me. Siediti sulla sua testa finché non farà giorno. Sono tutti senza forma, questi strani esseri!" E così si tennero saldamente seduti sulle loro prede fino a che non fu giorno fatto. Allora il Leopardo disse: "Allora, cosa hai lì sotto, Fratello?" L'Etiope si grattò la testa e rispose: "Sembrerebbe un essere dal folto pelo fulvo-arancio, dalla testa ai piedi, e sembrerebbe essere la Giraffa, ma è tutta coperta di macchie castane. E tu, cos'hai sotto i tuoi artigli?" Il Leopardo si grattò la testa e disse: "Ha l'aria di essere qualcosa completamente fulvo-grigiastro e dovrebbe essere la Zebra, ma è tutta coperta di strisce nere e violacee. Che cosa diavolo ti sei combinata, Zebra? Lo sai che nella Prateria Alta potevo avvistarti a dieci miglia di distanza? Ora sei completamente senza forma." "Lo so," - rispose la Zebra - "ma qui non siamo nella Prateria Alta, non capisci?" "Ora sì che ho capito, ma tutto ieri ho faticato a raccapezzarmi. Come hai fatto?" "Lascia la presa," - disse la Zebra - "e te lo mostreremo." I due liberarono la Zebra e la Giraffa. Allora la Zebra andò verso dei cespugli spinosi, dove la luce filtrava tutta a strisce e la Giraffa si avvicinò a degli alberi piuttosto alti, le cui ombre ricadevano a chiazze. "Adesso guarda come si fa." - dissero la Zebra e la Giraffa - "Un-due-tre! La vostra colazione dov'è?" Il Leopardo sgranò gli occhi, e l'Etiope pure, ma non riuscivano a vedere altro che ombre a chiazze e a strisce nella foresta. Della Zebra e della Giraffa nessuna traccia. Se l'erano svignata e si erano nascoste nelle ombre della foresta. "Ehi, ehi!" - disse l'Etiope - "questo sì che è un bello scherzo. Impara la lezione, Leopardo. In questo buio ti si vede come un pezzo di sapone dentro a una secchia per il carbone." "Oh, oh!" - disse il Leopardo - "Ti sorprenderebbe alquanto sapere che in questa oscurità sembri un semino di senape in mezzo a tanti pezzi di carbone?" "Basta, insultandoci non ci procureremo da mangiare. Il problema è che non siamo affatto intonati a questo sfondo. Seguirò il consiglio di Baviaan. Mi ha detto che devo cambiare e, poiché l'unica cosa che posso cambiare è il colore della mia pelle, cambierò quella." "Come?" - chiese il Leopardo con grande eccitazione. "Mi farò di un bel colore marroncino-nerastro, con un po' di porpora e qualche tocco di blu ardesia. Sarà proprio quello che ci vuole per nascondersi dentro le cavità e dietro agli alberi". E così, in un attimo, si cambiò il colore della pelle.

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Il Leopardo era più che mai eccitato, perché non gli era mai capitato prima di allora di vedere un uomo cambiar colore. "E io che faccio?" - disse infine, una volta che l'Etiope ebbe completato la sua opera, trasformando il suo ultimo mignolo in un beldito nero. "Segui anche tu il consiglio di Baviaan. Ti ha suggerito di darti allamacchia." "Ma l'ho già fatto, mi sono messo in cammino senza indugio. Sono venuto fin qui insieme a te, e guarda cosa ci ho guadagnato." "Oh, ma cos'hai capito?" - l'Etiope scosse la testa - "Baviaan non intendeva dire di rifugiarti in qualche altra regione del Sudafrica. Con 'darti alla macchia' intendeva dire procurarti le macchie sul tuo manto." "E a cosa mi servono?" chiese il Leopardo. "Pensa alla Giraffa," - disse l'Etiope - "oppure, se preferisci le strisce, pensa alla Zebra. Loro sembrano perfettamente soddisfatte delle loro macchie e delle loro strisce" "Hmm..." - disse il Leopardo - "non vorrei proprio somigliare a una Giraffa, per nulla al mondo!" "Beh, deciditi!" - disse l'Etiope - "perché mi seccherebbe andare a caccia senza di te, ma sarò costretto a farlo se tu insisti nel voler sembrare un girasole sullo sfondo di uno steccato spalmato di catrame." "D'accordo, allora mi farò le macchie" - disse il Leopardo - "ma non farmele troppo grossolane. Non voglio proprio somigliare a una giraffa." "Te le farò con la punta delle mie dita." - soggiunse l'Etiope - "C'è rimasto ancora abbastanza nero sulla mia pelle. Non muoverti!" Così l'Etiope avvicinò le sue cinque dita (c'era rimasto ancora nero a sufficienza sulla sua nuova pelle) e le premette su tutto il manto del Leopardo e là dove le cinque dita si appoggiavano lasciavano cinque piccole impronte nere, una vicina all'altra. Puoi vederle chiaramente sul manto di qualsiasi Leopardo, Tesoro Mio. A volte le dita scivolavano un po' e allora le macchie erano un pò sbavate; ma se tu ora guardi bene da vicino qualsiasi Leopardo, vedrai che ci sono sempre cinque macchie, il segno di cinque grossi polpastrelli neri. "Ora sei una meraviglia!" - esclamò l'Etiope - "Puoi startene sdraiato sul nudo terreno e sembrare un mucchio di sassi. Puoi sdraiarti sulle rocce spoglie e sembrare un ciottolo multicolore. Puoi stenderti su un ramo frondoso e sembrare la luce del sole che filtra in mezzo alle foglie. Oppure puoi sdraiarti proprio nel mezzo di un sentiero e non sembrare proprio niente. Pensa a tutto questo e fai le fusa!" "Ma se io sono tutte queste cose," - dichiarò il Leopardo - "perché non ti sei fatto anche tu le macchie?" "Oh, il semplice nero è la cosa migliore per un uomo di colore." - rispose l'Etiope - "E adesso muoviti, vediamo se possiamo saldare i conti con il signor Un-Due-Tre-La-Vostra-Colazione-Dov'è!" Così se ne andarono e da quel momento vissero felici e contenti, Tesoro Mio. E qui finisce la storia.

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Oh, certamente, ti capiterà di sentire qualche grande chiedere: "Può l'Etiope cambiarsi la pelle o il Leopardo le macchie?" Non penso che gli adulti continuerebbero a porsi una domanda così sciocca se il Leopardo e l'Etiope non l'avessero già fatto una volta, non credi? Ma non succederà un'altra volta, Tesoro Mio. Loro sono soddisfatti di essere così come sono. Io sono il Baviaan più saggio, che conosce le più sagge canzoni, "Immergiamoci nel paesaggio, solo noi due, noi due soli" Son venuti in carrozza a chiamarmi. Ma la mamma non è qui.... Sì, vengo anch'io se mi porti con te. La tata ha detto di sì Andiamo fino al porcile e sediamoci nell'aia, sullo steccato! Parliamo ai coniglietti e guardiamo il loro correre agitato! Facciamo... oh, qualsiasi cosa, papà, purché siamo io e te, Andiamo ad esplorare qua e là, stiamo a zonzo fino all'ora del tè! Eccoti gli stivali, te li ho portati, ecco il cappello e il bastone, qui c'è la pipa con il tuo tabacco. Svelto, esci! Ho aperto il portone.

Rudyard Kipling (1865-1936), How the Leopard Got His Spots (da Just So Stories for Little Children, 1902)

(Immagini: Nick Brandt)

Dall'inferno al paradiso

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giovedì

Quello che sui giornali non leggerete più

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«Nel Capodanno 1987, alle ore 20,52 dalla villa di Arcore (Berlusconi festeggia con Fedele Confalonieri e Bettino Craxi).
Berlusconi. Iniziamo male l'anno!
Dell'Utri. Perché male?
Berlusconi. Perché dovevano venire due [ragazze] di Drive In che ci hanno fatto il bidone! E anche Craxi è fuori dalla grazia di Dio!
Dell'Utri. Ah! Ma che te ne frega di Drive In?
Berlusconi. Che me ne frega? Poi finisce che non scopiamo più! Se non comincia così l'anno, non si scopa più!
Dell'Utri. Va bene, insomma, che vada a scopare in un altro posto!
La conversazione racconta la familiarità tra il tycoon e un presidente del consiglio allora in carica che gli confeziona, per i suoi network televisivi, un decreto legge su misura, poi bocciato dalla Corte Costituzionale.
Già l'anno prima, il giorno di Natale del 1986, il nome di Berlusconi era saltato fuori in un'intercettazione tra un mafioso, Gaetano Cinà, e il fratello di Marcello Dell'Utri, Alberto.
Cinà. Lo sai quanto pesava la cassata del Cavaliere?
Dell'Utri. No, quanto pesava, quattro chili?
Cinà. Sì, va be'! Undici chili e ottocento!
Dell'Utri. Minchione! E che gli arrivò, un camion gli arrivò?
Cinà. Certo, ho dovuto far fare una cassa dal falegname, altrimenti si rompeva!
Perché un mafioso di primo piano come Cinà si prendesse il disturbo di regalare un monumento di glassa al Cavaliere rimane ancora un enigma, ma documenta quanto meno il tentativo di Cosa Nostra di ingraziarselo.
Al contrario, è Berlusconi che sembra promettere un beneficio ad Agostino Saccà, direttore di RaiFiction quando, il 6 luglio 2007, gli dice: "Io sai che poi ti ricambierò dall'altra parte, quando tu sarai un libero imprenditore, mi impegno a ... eh! A darti un grande sostegno". Che cosa chiedeva il premier? Il favore di un ingaggio per una soubrette utile a conquistare un senatore e mettere sotto il governo Prodi. O magari...
Ancora uno stralcio:
Saccà. Lei è l'unica persona che non mi ha mai chiesto niente, voglio dire...
Berlusconi. Io qualche volta di donne... e ti chiedo... per sollevare il morale del Capo (ridendo).
E in effetti, con molto tatto, Berlusconi chiede di sistemare o per lo meno di prendere in considerazione questa o quella attrice. Qualcuna "perché sta diventando pericolosa".

È l'ascolto di queste conversazioni, disvelatrici dei rapporti con una politica corrotta, con il servizio pubblico televisivo in teoria concorrente, addirittura con poteri criminali, che il premier vuole rendere da oggi irrealizzabile per la magistratura e vietato alla pubblicazione, anche la più rispettosa della privacy.
Per scardinare, nell'opinione pubblica, la convinzione che gli ascolti telefonici, ambientali, telematici servano e non siano soltanto una capricciosa bizzarria di toghe intriganti e sollazzo indecente per cronisti ficcanaso, Berlusconi ha costruito nel tempo una narrazione dove si sprecano numeri iperbolici ed elaborate leggende. Dice: "Si parla di 350 mila intercettazioni, è un fatto allucinante, inaccettabile in una democrazia". Fa dire al suo ministro di Giustizia che gli italiani intercettati sono addirittura "30 milioni" mentre sono 125 mila le utenze sotto ascolto (le utenze telefoniche, non gli italiani intercettati). Alla procura di Milano, per fare un esempio, su 200 mila fascicoli penali all'anno, le indagini con intercettazioni restano sotto il 3 per cento (6136).

(...) Se la legge dovesse essere confermata così com'è al Senato, i pubblici ministeri potranno chiedere di intercettare un indagato soltanto quando hanno già ottenuto quei "gravi indizi di colpevolezza" che giustificherebbero il suo arresto. E allora che bisogno c'è delle intercettazioni? Forse è davvero la morte della giustizia penale, come scrive l'associazione magistrati. Certo, è l'eclissi di un segmento rilevante dell'informazione. Da oggi si potranno soltanto proporre dei "riassuntini" dell'inchiesta e delle prove raccolte. Non si potrà pubblicare più alcun documento, nessun testo di intercettazione. La cronaca, queste cronache del potere, però, non sono soltanto il racconto di imprese delittuose. Non deve esserci necessariamente un delitto, una responsabilità penale in questi affreschi. Spesso al contrario possono rendere manifesto e pubblico soltanto un disordine sociale, un dispositivo storto che merita di essere raccontato quanto e più di un delitto perché, più di un delitto, attossica l'ordinato vivere civile...»

Giuseppe D'Avanzo, Quello che sui giornali non leggerete più (il testo completo da Repubblica.it)

Parlamento Pulito

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10 giugno 2009: Beppe Grillo alla Commissione Affari Costituzionali del Senato per discutere la proposta di legge di iniziativa popolare "Parlamento Pulito", presentata al Senato da ben 18 mesi

Stirpe

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(Immagine: Sheena Thunderchild)


Ti ha impaurito la mia condizione tricefala, l'ho notato dalla tua espressione; convinto dei racconti, hai estratto la spada dalla pietra e con un taglio netto e esperto mi hai privato di una testa. Ti sei preparato per spiccare la seconda e ti sei sentito perso quando hai visto che dal primo incavo mi andavano crescendo altre tre teste. Non c'è bisogno d'essere dei matematici per capire che non ti conveniva insistere nella tua mania escissoria. Io ho voluto tranquilizzarti, spiegarti che mai mi avresti fatto danno, che ognuna delle mie testa pensa a te notte e giorno con caparbietà d'amore, ma non c'è stato modo: sei scoppiato in un pianto di terrore e sei corso a rifugiarti nelle braccia e nella testa unica di una donna normale, il cui albero genealogico è sprovvisto di stravaganti animali mitologici.


Gilda Manso, Estirpe

(Tradotto dal blog dell'autrice argentina El arcángel mirón)

Gilda Manso su Narcolessia delle giraffe

mercoledì

Nineteen Eighty-Four

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8 giugno 1949: viene pubblicato il romanzo Nineteen Eighty-Four di George Orwell.

Alcune sequenze dal film Orwell 1984 di Michael Radford

martedì

Esperienza visiva

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Fascism on the march?

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Europa verso l'estrema destra dopo le elezioni.

Le analisi degli storici Michael Burleigh, Richard Overy, Kathleen Burk, Eric Hobsbawm, Joanna Bourke, David Kynaston, Norman Davies e David Stevenson.

Is fascism on the march again? (da The Guardian, 9 giugno 2009)

lunedì

La cosa Berlusconi

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«Non vedo che altro nome gli potrei dare. Una cosa che assomiglia pericolosamente a un essere umano, una cosa che dà feste, organizza orge e comanda in un paese chiamato Italia. Questa cosa, questa malattia, questo virus minaccia di essere la causa della morte morale del paese di Verdi se un conato di vomito profondo non riuscirà a strapparlo dalla coscienza degli italiani prima che il veleno finisca per corrompere le loro vene e per squassare il cuore di una delle più ricche culture europee.
I valori fondamentali della convivenza umana sono calpestati tutti i giorni dai piedi appiccicosi della cosa Berlusconi che, tra i suoi molteplici talenti, ha un’abilità funambolica per abusare delle parole, sconvolgendone l’intenzione e il senso, come nel caso del Polo della Libertà, come si chiama il partito con il quale ha preso d’assalto il potere. L’ho chiamato delinquente, questa cosa, e non me ne pento. Per ragioni di natura semantica e sociale che altri potranno spiegare meglio di me, il termine delinquente ha in Italia una valenza negativa molto più forte che in qualsiasi altra lingua parlata in Europa...»

José Saramago su El País.com del 6 giugno 2009: La cosa Berlusconi (leggi tutto l'articolo originale)

Leggi la traduzione da
Italia dall'estero.info

Il Comandante

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(Immagine: Ekin Buyuksahin)


Era maestro nel fare aeroplanini di carta. Molti di essi volavano alto e, fra i sospiri, atterravano dall'altro lato del muro.
Un bel giorno il Comandante sparì.
I sorveglianti non furono in grado di spiegare come fosse fuggito.
Gli altri ospiti del manicomio giurano che se ne sia andato su di un aeroplanino di carta.


Wilson Gorj, O Comandante

(Tradotto dal blog dell'autore brasiliano: O muro e outras páginas)

Wilson Gorj su Narcolessia delle giraffe

Una canzone d'amore

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When you're close to tears remember
Someday it'll all be over
One day we're gonna get so high
Though it's darker than December
What's ahead is a different colour
One day we're gonna get so high

And at the end of the day remember the days
When we were close to the end
And wonder how we made it through the night
At the end of the day
Remember the way
We stayed so close to the end
We'll remember it was me and you

Cause we are gonna be
Forever, you and me
You will
Always keep it flying high in the sky
Of love

Don't you think it's time you started
Doing what we always wanted
One day we're gonna get so high
Cause even the impossible
Is easy when we got each other
One day we're gonna get so high

And at the end of the day remember the days
When we were close to the end
And wonder how we made it through the night
At the end of the day
Remember the way
We stayed so close to the end
We'll remember it was me and you

Cause we are gonna be
Forever, you and me
You will
Always keep it flying high in the sky
Of love

Cause we are gonna be
Forever, you and me
You will
Always keep it flying high in the sky
Of love

And at the end of the day remember the days
When we were close to the end
And wonder how we made it through the night
At the end of the day
Remember the way
We stayed so close to the end
We'll remember it was me and you

Cause we are gonna be
Forever, you and me
You will
Always keep it flying high in the sky
Of love

Cause we are gonna be
Forever, you and me
You will
Always keep it flying high in the sky
Of love

Cause we are gonna be
Forever, you and me
You will
Always keep it flying high in the sky
Of love

Cause we are gonna be
Forever, you and me
You will
Always keep it flying high in the sky
Of love...


Lighthouse Family, High, 1997

venerdì

Suicida

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Decido di porre fine alla mia vita per stanchezza, sazietà, io in eccesso che vogliono detronizzare il vero io. Esco sul terrazzo: sopra ci sono luna, stelle, gemme, le fusa degli aerei e le nuvole; sotto il rumore, le luci delle macchine, molto lontano come in un subuniverso inesplorato. Mi arrampico sul cornicione, faccio un passo, un altro, continuo camminando nell'aria e a ogni passo cade uno dei miei io, plana compiendo circoli, si incarna nel corpo di un cittadino in più, formica frettolosa nel rumore randagio della notte. Quando arrivo a metà del tragitto sono soltanto io, sudo molto. Alzo la testa e ti scopro: anche tu hai camminato fino a qui dal tuo terrazzo, sei ringiovanita, più trasparente, e già spogliata dei tuoi altri io. Mi guardi sorridente, increspi le labbra e mi tiri un sonoro manrovescio. Cado.


Ricardo Bernal, Suicida

Il messicano Ricardo Bernal su Narcolessia delle giraffe

Finger Painting

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Dipingere con le dita. E l'iPhone.

Due opere di Jorge Colombo per «The New Yorker»

giovedì

Un nuovo inizio (?)

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Vaticano S.p.A.

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(Paul Casimir Marcinkus)

«L'Italia del dopoguerra si può comprendere solo attraverso gli intrecci tra Mafia, Massoneria, Vaticano e parti deviate dello Stato. Quattro mondi che si incrociano nelle vicende più oscure della nostra Repubblica. Il libro: "Vaticano S.p.A." grazie all'accesso, quasi casuale, a un archivio sterminato di documenti ufficiali spiega per la prima volta il ruolo dello IOR nella prima e nella seconda Repubblica.Passi dal libro "Vaticano S.p.A.":
"...Paolo VI affida il trasferimento all'estero delle partecipazioni a un sacerdote e a un laico...già conosciuto da Montini quando era arcivescovo di Milano. Si chiama Michele Sindona. Porta i capitali della mafia. Il sacerdote che mastica di finanza ed è amico degli Usa si chiama Paul Marcinkus... E' lo stesso Sindona a presentare a Marcinkus il banchiere Roberto Calvi... I tre arrivano a manipolare gli andamenti della Borsa di Milano con le società del Vaticano che finiscono a Calvi via Sindona... Viene eletto papa il patriarca di Venezia Albino Luciani, uomo di altissimo rigore morale... il giornalista Mino Pecorelli pubblica i 121 nomi di esponenti vaticani che sarebbero affiliati alla massoneria... Luciani intende far piazza pulita allo IOR e trasferire tutti: Marcinkus, de Bonis, Mennini, de Strobel. Lo confida al segretario di Stato Jean Villot la sera del 28 settembre 1978. La mattina dopo il corpo senza vita di Giovanni Paolo I viene rinvenuto nel suo letto... Karol Wojtyla recupera la politica di Paolo VI e assicura a Marcinkus la continuità sull'indirizzo finanziario.. L'Ambrosiano di Calvi rischia il crack... si scopre che i crediti dell'Ambrosiano riguardano le società estere legate allo IOR... Il ministro del Tesoro Andreatta dispone la liquidazione del Banco Ambrosiano... Marcinkus gode della protezione incondizionata di Giovanni Paolo II... dovuta soprattutto ai fondi per oltre 100 milioni di dollari che il Vaticano inviò al sindacato polacco Solidarnosc... Triplice mandato di cattura, emesso il 20 febbraio 1987 dalla magistratura milanese contro Marcinkus e i dirigenti dello IOR Luigi Mennini e Pellegrino de Strobel..."»

Da Beppegrillo.itleggi tutto

Il video dell'intervista all'autore di Vaticano S.p.A., Gianluigi Nuzzi

Una selezione di pre-testi da Vaticano S.p.A.

Saramago — Il quaderno non gradito

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«L’Einaudi non pubblicherà l’ultimo lavoro di José Saramago. La casa editrice del gruppo Mondadori, parte dell’impero imprenditoriale del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha ufficialmente motivato il rifiuto con i giudizi che lo scrittore portoghese, Nobel per la letteratura 1998, ha espresso sul nostro capo del governo. “L’Einaudi - spiega un comunicato della casa editrice - ha deciso di non pubblicare O caderno di Saramago perché fra molte altre cose si dice che Berlusconi è un 'delinquente'. Si tratti di lui o di qualsiasi altro esponente politico, di qualsiasi parte o partito, l’Einaudi si ritiene libera nella critica ma rifiuta di far sua un’accusa che qualsiasi giudizio condannerebbe”.
La casa editrice ha anche fatto trapelare di aver richiesto un intervento di editing per limare le parti a rischio querela, circostanza che è stata negata da Saramago in una conversazione via posta elettronica con Il Corriere della Sera, che ha anticipato la notizia pubblicata nell’ultimo numero de L’Espresso.

O caderno (Il quaderno) non è un romanzo ma una raccolta di interventi che lo scrittore portoghese ha inserito nel suo blog che dà il titolo al libro. Iniziato nel settembre 2008, con, una lettera d’amore a Lisbona, Parole per una città, è lo spazio dove Saramago esprime il suo pensiero e le sue riflessioni sull’attualità internazionale, parlando anche dei maggiori leader politici internazionali, da Bush junior a Sarkozy fino a Obama. Il post a cui l’Einaudi si riferisce nel suo comunicato è stato pubblicato il 17 settembre col titolo Berlusconi & Cia (il link è alla traduzione in spagnolo) dove Saramago riflette a partire dal posizionamento del patrimonio personale di Berlusconi nella classifica di Forbes, soffermandosi sulla sua condizione di autore pubblicato da una casa editrice di Berlusconi, per arrivare alle difficoltà incontrate in Italia dalla distribuzione del film su Bush, W, di Oliver Stone. Interrogandosi sulla “inclinazione sentimentale che il popolo italiano sperimenta per Berlusconi”, definita “indifferente a qualsiasi considerazione di carattere morale”, Saramago si chiede: “Realisticamente, nella terra della mafia e della camorra che importanza può avere il fatto provato che il primo ministro sia un delinquente?”. Per poi proseguire: “In una terra nella quale la giustizia non ha mai goduto di buona reputazione cosa importa che il primo ministro ottenga che si approvino leggi a misura dei suoi interessi, proteggendosi contro ogni iniziativa per castigare i suoi arbitri e gli abusi di autorità?”...»

Ettore Siniscalchi, Il premio Nobel e l'autocensura Einaudi (da Articolo 21.info — leggi tutto)

mercoledì

Kafkiana

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Kafkiana

Jorge Luis Borges correva tra le dune di un deserto, nella pioggia. Aveva l’impressione di essere inseguito da un alfiere, ma non riusciva a ricordare le leggi degli scacchi, se mai le avesse conosciute. Sognava finali perduti, e temeva di svegliarsi tramutato in un insetto mostruoso con tante zampe, ridicolmente minuscole, ribaltato sul duro del suo dorso. Nel sogno non si chiamava Borges, ma Gregor Samsa. Non c’è via d’uscita, mugugnò; era una situazione kafkiana, senza dubbio. Decise di continuare a correre e di affidarsi al Caso.



Non era il suo turno

Gregor Samsa si risvegliò trasformato in un mostruoso dinosauro. Ma non era da solo. In un angolo della camera da letto, indifferenti a tutto, Borges, Kafka e Monterroso discutevano sopra fantasia, eternità e scarafaggi. Samsa riprese fiato sollevato, rendendosi conto di essere soltanto un sogno di quegli scrittori, e ritornò a dormire.


Sergio Gaut vel Hartman, Kafkiana e No era su turno



Ahhhh, Kafka

Quando mi sono svegliato stamattina ho scoperto che mi ero trasformato in un insetto mostruoso. Ma mi sono sentito meglio quando ho guardato da una parte e ho veduto che mia moglie era diventata un insignificante scarafaggio. Non ci siamo neanche guardati, ciascuno di noi è uscito a cercarsi un angolino tranquillo dove poter vivere.


Alejandro Ramírez Giraldo, Ahhhh, Kafka


(Nell'anniversario della morte di Franz Kafka tre lampi letterari dell’argentino Sergio Gaut vel Hartman e del colombiano Alejandro Ramírez Giraldo — tradotti dal blog Químicamente impuro)

Sergio Gaut vel Hartman: la rivista «Sinergia» e gli altri due blog: Ráfagas, parpadeos e Breves no tan breves

Alejandro Ramírez Giraldo: Cuentos cortos

La sentenza

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Era una bellissima mattina primaverile, di domenica. Georg Bendemann, giovane commerciante, era seduto nella sua camera al primo piano di una delle case basse, dai muri sottili, che in lunga fila si susseguivano sulla riva del fiume, differendo l'una dall'altra quasi unicamente per l'altezza e la tinta. Aveva appena terminato di scrivere a un suo amico di gioventù che abitava all'estero: suggellò pian piano la lettera, attardandosi, e poi, appoggiati i gomiti alla scrivania, si mise a guardare il fiume, il ponte e le colline coperte di verde pallido che sorgevano sulla riva opposta.
Ripensava ai casi di quell'amico: insoddisfatto dell'esistenza in patria, qualche anno prima si era rifugiato - è la parola esatta - in Russia. Ora svolgeva un'attività in proprio a Pietroburgo, dapprincipio assai bene avviatasi, ma che da tempo sembrava stagnare: così almeno si lamentava l'amico, nelle sue sempre più rare visite. Sicché andava arrabattandosi senza risultato in terra straniera, e un esotico barbone celava malamente i tratti ben noti sin dall'infanzia, mentre il colorito giallognolo del viso pareva denunziare una malattia già in atto. Secondo quanto diceva, non era riuscito a stabilire laggiù rapporti con la colonia dei suoi compatrioti, e neppure, o quasi, relazioni sociali con famiglie del luogo. Perciò si disponeva ormai definitivamente a una vita di celibato.
In quali termini scrivere a un uomo simile, che evidentemente aveva sbagliato strada, che si poteva commiserare ma non certo aiutare? Consigliargli forse di tornare a casa, trasferire qui la propria esistenza, riannodare tutte le antiche amicizie - cosa a cui non si frapponevano ostacoli - e, per il resto, fidare nell'appoggio degli amici? Ma era come dirgli, in parole tanto più umilianti quanto più erano gentili, che i suoi tentativi erano falliti, che ormai era meglio vi rinunciasse, che doveva non solo tornare in patria, ma anche sopportare di esser guardato da tutti con tanto d'occhi come un rimpatriato; che solo i suoi amici avevano un po' di buonsenso, mentre a lui, ragazzo invecchiato, non restava che seguire il loro esempio: rimanere a casa e cercare di far fortuna. Ed era poi sicuro che, mortificandolo così, avrebbe raggiunto uno scopo? Forse non sarebbe neppure riuscito a farlo tornare - non diceva lui stesso che ormai le abitudini della patria gli tornavano incomprensibili? - ed egli nonostante tutto sarebbe rimasto là, nel suo paese straniero, amareggiato dai consigli e ancor più freddo verso gli amici. Che se invece ascoltasse davvero i suggerimenti e, rientrato qui, si riducesse più che mai a mal partito - non per colpa di nessuno, s'intende, ma per ragioni obiettive -, e allora non potesse più ritrovarsi negli amici ma neanche fare a meno di loro, e soffrisse umiliazioni, e insomma rimanesse davvero senza amici nè patria, non era allora molto meglio che se ne stesse all'estero, là dov'era? Date queste circostanze, come si poteva pensare che qui sarebbe riuscito a cavarsela?
Per tali motivi, se il contatto epistolare doveva essere mantenuto, era impossibile avviare con lui un vero e proprio rapporto, come si sarebbe fatto senza impaccio con qualsiasi conoscente, anche il più lontano. Da oltre tre anni l'amico non tornava in patria, adducendo a magra scusante la precarietà della situazione politica in Russia, che a suo dire non consentiva a un piccolo commerciante di assentarsi neppure per brevi periodi, e ciò quando centinaia di migliaia di russi andavano tranquillamente in giro per il mondo. Proprio per Georg, invece, quei tre anni avevano portato molti mutamenti. Della morte di sua madre, avvenuta circa due anni prima, e dopo la quale egli faceva vita in comune col vecchio padre, l'amico era bensì stato informato, ed aveva inviato una lettera di condoglianze molto asciutta, spiegabile solo con l'ipotesi che, da lontano, il dolore per un simile avvenimento diventi del tutto inconcepibile. Ma da allora Georg aveva preso in mano con maggior risolutezza, così come ogni altra cosa, anche la ditta. Forse, finché la madre era viva, il padre, che nel lavoro non ammetteva interferenze, non gli aveva permesso di esplicare in proprio la sua attività; forse il padre, dopo la morte della moglie, pur continuando a lavorare nella ditta, s'era fatto un po' in disparte; o forse infine - anzi con ogni probabilità - occasioni fortunate avevano giocato in maniera decisiva, fatto sta che in quei due anni la ditta aveva conosciuto uno sviluppo inatteso: si era dovuto raddoppiare il personale, le vendite si erano quintuplicate e si potevano prevedere con certezza ulteriori progressi.
L'amico tuttavia non ne sapeva nulla di questi mutamenti. In passato, e un'ultima volta forse nella lettera di condoglianze, aveva cercato di convincere Georg ad emigrare in Russia, diffondendosi in particolari circa le prospettive che gli si sarebbero offerte a Pietroburgo nel suo ramo d'attività. Ma erano cifre trascurabili in rapporto al recente incremento dell'attività di Georg; nè questi aveva avuto voglia d'informare l'amico dei suoi successi negli affari, e indubbiamente lo scrivergliene ora, a tanta distanza di tempo, sarebbe potuto apparire alquanto singolare.
Perciò Georg, nelle sue lettere all'amico, si era sempre limitato a trattare di eventi insignificanti, quali si affollano alla mente di chi, in una domenica tranquilla, si abbandona ai suoi pensieri. Il suo solo desiderio era di lasciare intatta l'immagine della città natale che certo l'amico si era foggiata in mente durante quel periodo e cui aveva fatto l'abitudine. Così fu che Georg per tre volte, a intervalli abbastanza lunghi, gli annunziò il fidanzamento di un uomo qualunque con una ragazza altrettanto qualunque: finché l'amico, contrariamente a ciò che Georg si proponeva, non cominciò a dimostrarsi incuriosito da quel fatto singolare.
Ma Georg preferiva scrivergli così piuttosto che confessargli d'essersi lui stesso fidanzato, un mese prima, con una certa signorina Frieda Brandenfeld, giovane di agiata famiglia. Sovente discorreva con la sua promessa di quell'amico e dello speciale rapporto di corrispondenza che intratteneva con lui. «Allora di sicuro non verrà alle nostre nozze,» diceva lei, «eppure io ho il diritto di conoscere tutti i tuoi amici.» «Non voglio importunarlo,» rispondeva Georg, «so bene che probabilmente verrebbe, o almeno lo credo, ma gli parrebbe di essere coartato e danneggiato; forse m'invidierebbe e, scontento ma incapace ormai di liberarsi dalla sua scontentezza, se ne ripartirebbe da solo. Da solo... lo sai che cosa significa?» «Già, ma se venisse a sapere per altra via del nostro matrimonio?» «Questo non posso certo evitarlo, ma è improbabile, data l'esistenza che conduce.» «Georg, se hai di questi amici, era meglio che non ti fidanzassi.» «Sì, la colpa è di tutti e due, ma adesso non vorrei che fosse diversamente.» E poiché lei, ansimando sotto i suoi baci, aggiunse: «Però è una cosa che mi addolora», egli giudicò che tanto valeva scrivere tutto al suo amico. «Cosi sono e così ha da prendermi,» si disse, «non posso ritagliare in me stesso un altro individuo più di me adatto alla sua amicizia.»
E infatti, nella lunga lettera scritta quella domenica mattina, partecipava all'amico il suo fidanzamento nei seguenti termini: «La più bella novità l'ho tenuta in serbo per la fine. Mi sono fidanzato con la signorina Frieda Brandenfeld, una fanciulla di agiata famiglia, stabilitasi qui parecchio tempo dopo la tua partenza: perciò difficilmente puoi averla conosciuta. Avrò ancora l'occasione di parlarti a lungo della mia sposa; per oggi ti basti che sono davvero felice e che questo è l'unico mutamento sopravvenuto nei nostri rapporti: che d'ora in poi avrai in me un amico felice, non più un amico qualunque. Inoltre, la mia fidanzata - che ti manda a salutare e presto ti scriverà di persona - ti sarà sinceramente amica, ciò che per uno scapolo non è cosa priva d'importanza. So che molti impegni ti trattengono dal farci visita; ma non sarebbero proprio le mie nozze la miglior occasione di dare un calcio a tutti gli ostacoli? Comunque sia, non farti riguardi e disponi come meglio credi.»


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Con quella lettera in mano Georg rimase a lungo seduto davanti alla scrivania, il viso rivolto verso la finestra. Un conoscente passando nella strada lo aveva salutato, e lui aveva risposto appena, con un sorriso distratto.
Finalmente si ficcò la lettera in tasca, uscì dalla stanza e, attraversato un piccolo corridoio, entrò nella camera di suo padre: erano mesi che non vi poneva più piede. In realtà non ne aveva bisogno, poiché incontrava sempre il padre in ufficio, a mezzogiorno pranzavano insieme in trattoria e la sera ciascuno provvedeva per proprio conto; dopo cena poi, a meno che Georg, come spessissimo accadeva, si trovasse con gli amici o, negli ultimi tempi, si recasse dalla fidanzata, solevano trattenersi ancora un po' nella sala da pranzo, ciascuno leggendo il suo giornale. Georg fu stupito dell'oscurità che regnava nella stanza del padre anche in quel mattino di sole: così forte era l'ombra proiettata da un alto muro ergentesi sul lato opposto dello stretto cortile. Il padre era seduto accanto alla finestra, in un angolo tutto adorno di ricordi della povera mamma, e leggeva il giornale tenendolo alquanto spostato rispetto agli occhi, per controbilanciare qualche difetto di vista. Sul tavolo si trovavano i resti della colazione, evidentemente consumata solo in piccola parte.
«Oh, Georg!» disse il padre facendoglisi subito incontro, al che la sua pesante vestaglia si aprì e i lembi gli si sollevarono intorno... «Mio padre è pur sempre un colosso,» si disse Georg.
«Qui c'è un buio insopportabile,» disse poi.
«Eh sì, piuttosto buio,» rispose il padre.
«E tieni anche chiusa la finestra?»
«Preferisco così.»
«Fuori fa un bel calduccio,» disse Georg, come riprendendo il filo della frase precedente, e si sedette. Il padre tolse di mezzo il vassoio della colazione e lo mise su un comò.
«Volevo soltanto dirti,» continuò Georg, che seguiva tutto trasognato i movimenti del vecchio, «che mi sono deciso ad annunziare a Pietroburgo il mio fidanzamento.» Trasse un poco la lettera fuori della tasca, poi ve la lasciò ricadere.
«A Pietroburgo?» fece il padre.
«Sì, al mio amico,» disse Georg cercando i suoi occhi. In ufficio è tutto diverso, pensò, guarda qui come se ne sta seduto imponente, a braccia incrociate sul petto.
«Già, al tuo amico,» disse il padre, calcando sulle parole.
«Sai bene, papà, che in un primo tempo ho preferito tacergli la notizia. Per riguardo, non per altro motivo. È un uomo difficile, lo sai anche tu. Ne venga pure a conoscenza attraverso altri, mi dicevo (benché sia assai poco probabile, appartato come vive), non posso impedirglielo; ma saperlo proprio da me, no, questo no.»
«Georg,» disse il padre allargando la bocca sdentata, «ascoltami! Sei venuto da me in questa circostanza, a chiedere il mio consiglio, ciò che senza dubbio torna a tuo onore. Ma questo non è niente, anzi è peggio che niente, se ora non vuoi dirmi tutta la verità. Non voglio rivangare qui cose che non hanno a che fare: certe cose tutt'altro che belle, successe dopo la morte della povera mamma. Forse anche per quelle verrà il momento, e magari prima di quanto crediamo. In ufficio parecchie pratiche mi sfuggono, forse non perché mi sian tenute nascoste (che qualcuno me le tenga nascoste non voglio per ora nemmeno supporlo), non sono più abbastanza vigoroso, la mia memoria si annebbia, non riesco più a star dietro a ogni cosa. Questo avviene in primo luogo per una legge naturale, in secondo luogo perché la morte della nostra mammina fu per me un colpo molto più duro che per te... Ma dato che ci stiamo proprio occupando di questa faccenda, di questa lettera, te ne prego, non cercare di abbindolarmi. È una bazzecola, non val la pena di spenderci il fiato, perciò sii sincero. Hai realmente quell'amico a Pietroburgo?»
Georg si levò in piedi, confuso. «Non parliamone, dei miei amici. Mille amici non valgono mio padre. Sai cosa credo, invece? Che tu non ti riguardi abbastanza. La vecchiaia ha ben dei diritti! La tua presenza in ditta mi è indispensabile, lo sai benissimo, ma se per causa della ditta dovesse andarci di mezzo la tua salute, chiuderei tutto domani. No, così non va. Dobbiamo decidere un nuovo sistema di vita, per te, un cambiamento radicale. Te ne stai qui tappato al buio, mentre in salotto avresti tutta la luce che vuoi. Assaggi appena la colazione, invece di alimentarti come è necessario. Stai seduto accanto alla finestra chiusa, quando l'aria ti farebbe tanto bene. No, papà mio! Farò venire il medico e ci atterremo alle sue prescrizioni. Ci scambieremo le stanze: tu prenderai quella sul davanti, e io verrò qui. Non dovrai neppure accorgerti del cambiamento, provvederò io a tutto. Ma per questo c'è tempo; intanto sdraiati ancora un po' a letto, hai assoluto bisogno di riposare. Vieni, ti aiuto io a svestirti, ne sono capace, vedrai. Oppure vuoi andare subito nell'altra stanza e per il momento sdraiarti sul mio letto? Sarebbe molto giudizioso, sai.»
Georg stava a un passo dal padre: questi aveva lasciato ricadere sul petto la bianca testa arruffata.
«Georg,» chiamò il padre immobile, a voce bassa.
Georg, pronto, s'inginocchiò davanti al vecchio e vide in quello stanco viso le pupille dardeggiarlo enormi dagli angoli degli occhi.
«Tu non hai amici a Pietroburgo. Sei sempre stato un burlone e non hai avuto scrupolo a prendere in giro anche me. Come vuoi avere un amico proprio là! Non ci posso credere.»
«Ma sì, ricordati, papà,» disse Georg, e, fatto alzare il padre dalla poltrona, sfilò la vestaglia di dosso al corpo cadente. «Son quasi tre anni che il mio amico è venuto a trovarci. Rammento ancora che non ti andava molto a genio. Almeno due volte ho negato di fronte a te la sua presenza, sebbene si trovasse già in camera mia. Capivo benissimo che lo trovassi antipatico: è un ragazzo dal carattere tutto particolare. Ma in seguito hai conversato più volte con lui molto affabilmente, ed io ero così orgoglioso di vedere come lo ascoltavi, assentivi col capo, gli ponevi domande. Se ci pensi, non puoi non ricordartene. Ci raccontò certi episodi incredibili della rivoluzione russa. Per esempio che una volta, mentre era in viaggio d'affari a Kiev, durante un tumulto aveva veduto su un balcone un pope incidersi una gran croce nella carne viva della mano, e poi con la mano alzata implorare la folla. Tu stesso hai poi riferito quella storia, in varie occasioni.»


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Frattanto Georg era riuscito a rimettere seduto il padre e a togliergli con buon garbo le mutande di maglia, che portava sopra quelle di tela, come pure i calzini. Notò che quella biancheria non era pulitissima, e si rimproverò di aver trascurato il vecchio. Senza dubbio sarebbe stato suo compito accertarsi che la biancheria del padre fosse cambiata. Con la fidanzata non aveva ancora discusso a fondo il problema della sistemazione futura del padre; in realtà erano tacitamente d'accordo che egli dovesse rimanere a vivere solo nella vecchia casa. Ma ora decise tutt'a un tratto, e con la massima fermezza, di farlo venire con sè nel nuovo alloggio. A ben guardare, anzi, c'era quasi da temere che quelle cure, che si riprometteva di dedicargli dopo sposato, potessero giungere troppo tardi.
Portò il vecchio sul letto reggendolo tra le braccia. In quei pochi passi ebbe un'orribile sensazione: notò che suo padre, appoggiandoglisi al petto, giocherellava con la sua catena dell'orologio. Stentò anzi a farlo coricare, tanto accanitamente si aggrappava a quella catena.
Ma appena fu coricato, tutto parve a posto. Egli stesso si coprì, tirandosi la coltre un bel pezzo al disopra delle spalle; poi guardò Georg senza rancore.
«Ora ti ricordi di lui, non è vero?» domandò Georg con un cenno incoraggiante del capo.
«Sono ben coperto, adesso?» chiese il padre, come se non riuscisse a vedere se aveva i piedi sotto le coltri o no.
«Dunque, sei contento di startene a letto,» disse Georg, rincalzandolo con cura.
«Sono ben coperto?» ripetè il padre, come se la risposta gli stesse eccezionalmente a cuore.
«Sta' tranquillo, sei ben coperto.»
«No!» gridò il padre senza neppur lasciargli finir la frase, gettò indietro la coperta con tale energia che per un momento la si vide fluttuare in aria tutta spiegata, e si drizzò in piedi sul letto, mentre con una mano sfiorava il soffitto.
«Sì, tu volevi coprirmi, lo so, mala pianta, ma non sono ancora coperto. E fosse questo l'ultimo mio sprazzo di vigore, per te basta, è fin troppo! Certo che lo conosco, il tuo amico. Sarebbe stato lui il figlio che desideravo. E perciò Io hai ingannato tutti questi anni. Per che altra ragione, se no? Credi che non abbia pianto per lui? Proprio per questo ti chiudi a chiave nel tuo ufficio, e che nessuno disturbi, il principale è occupato... soltanto per scrivere le tue menzognere lettere in Russia! Ma per fortuna un padre non ha bisogno che gl'insegnino a leggere nell'animo del proprio figlio. E adesso, quando hai creduto di averlo sopraffatto, sopraffatto al punto di potergliti sedere addosso col tuo deretano, senza che lui possa muoversi, allora il mio signor figlio decide di sposarsi!»
Georg guardava di sotto in su la terrificante immagine paterna. Il pensiero dell'amico di Pietroburgo, che ora, ad un tratto, suo padre conosceva così bene, lo attanagliava come non mai. Lo vedeva sperduto nella lontana Russia, lo vedeva sulla soglia del negozio vuoto, saccheggiato. Eccolo lì ancora ritto tra gli scaffali sconquassati, le merci lacere, i bracci dei lumi a gas spezzati e contorti. Perché mai se n'era andato tanto lontano!


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«Guardami, dunque!» gridò il padre, e Georg corse verso il letto, quasi frastornato, per non lasciarsi sfuggire nulla, ma si fermò a mezzo.
«Perché quella ha alzato le gonne,» cominciò il padre con voce di falsetto, «perché le ha alzate a questo modo, quella lurida oca», e a corroborare il suo dire alzò la camicia, tanto da far vedere la cicatrice del tempo di guerra che aveva sulla coscia, «perché le ha alzate così e così e così, ti sei aggrappato a lei, e per potertela godere senza disturbo hai oltraggiato la memoria della mamma, hai tradito l'amico e cacciato in letto tuo padre, così che neanche lui potesse più muoversi. Ma guarda un po' se non si muove!» E ritto, senza appoggio alcuno, prese a dimenare le gambe, esultante di chiaroveggenza.
Georg se ne stava rincantucciato, lontano più che poteva dal padre. Già molto prima aveva deciso di porre la massima attenzione a tutto, per non essere comunque preso alla sprovvista per vie traverse, alle spalle, dall'alto. Ora ricordò quella decisione da tempo dimenticata, e nello stesso istante la dimenticò, come quando s'infila nella cruna di un ago un filo troppo corto.
«Ma il tuo amico non è stato tradito!» gridò il padre, e agitando l'indice avanti e indietro sottolineò energicamente le sue parole. «C'ero qui io a rappresentarlo!»
«Commediante!» non si trattenne dall'esclamare Georg, e, subito cosciente del guasto provocato, si morsicò, troppo tardi ahimè, con gli occhi sbarrati, la lingua, tanto da piegarsi in due dal male.
«Precisamente, ho recitato la commedia! Commedia: è la parola giusta! Quale altra consolazione restava al vecchio padre vedovo? Parla, e nel momento che mi rispondi sii ancora vivo per me come figlio: che altro mi restava, in questa mia stanza sul cortile, angariato dal personale infedele, vecchio fin nel midollo delle ossa? E mio figlio se ne andava trionfante pel mondo, concludeva affari che io avevo preparati, caprioleggiava dal piacere e passava davanti a suo padre con la faccia compunta dell'onest'uomo! Credi che non t'avrei voluto bene, io che t'ho dato la vita?»
Ora si chinerà in avanti, pensò Georg: potesse cascar giù e sfracellarsi! Quella parola gli saettò nella testa come una scudisciata.
Il padre si chinò, ma non cadde; e poiché Georg non si mosse, come lui s'era aspettato, si drizzò di nuovo.
«Restatene pur lì, non ho bisogno di te! Tu pensi che hai ancora la forza di avvicinarti, che non ti muovi solo perché lo vuoi. Non sbagliarti, bada! Sono sempre io di gran lunga il più forte. Da solo, forse, sarei stato costretto a cedere, ma ora la mamma mi ha dato la sua forza, col tuo amico mi sono inteso alla perfezione, e la tua clientela è tutta qui, nella mia tasca!»
«Ha le tasche perfino nella camicia!» si disse Georg, e pensò che gli sarebbe bastata quell'osservazione a screditarlo di fronte al mondo. Lo pensò solo per un attimo, poiché via via dimenticava quel che pensava.
«Prova ad attaccarti al braccio della tua bella e a venirmi dinanzi! Te la spazzo via io dal fianco, lascia fare a me !»
Georg fece qualche smorfia, come a dire che non ci credeva. Il padre si limitò a scuotere affermativamente il capo verso il suo angolo, a conferma che diceva il vero.
«Come me la son goduta stamane, quando sei venuto a chiedermi se dovevi scrivere al tuo amico che ti eri fidanzato! Ma lui sa tutto, sciocchino, sa tutto! Gliel'ho scritto io, perché tu ti sei scordato di portarmi via l'occorrente per scrivere. E per questo sono anni che non viene più, lo sa cento volte meglio di te, e le tue lettere non le legge, le ciancica con la mano sinistra mentre nella destra tiene le mie, e le legge!»
Agitò il braccio sopra la testa, ebbro d'entusiasmo.
«Mille volte meglio, lo sa!» gridò.
«Sì, diecimila!» disse Georg come a dileggiare il padre, ma ancora prima di uscirgli dalle labbra la parola acquistò un suono mortalmente serio.
«Da anni stavo aspettando che venissi a chiedermelo! Credi forse che dia importanza ad altre cose? Credi che legga i giornali? To'!» e gettò a Georg un foglio di giornale che chissà come era finito nel letto. Un vecchio giornale, dal titolo completamente ignoto a Georg.
«Quanto hai tardato a maturarti! C'è voluta la morte della mamma, lei non ha potuto vedere questo fausto giorno, il tuo amico sta agonizzando laggiù nella sua Russia, già tre anni fa era giallo da buttar via e quanto a me, lo vedi bene come sto. Ce li hai pure, gli occhi!»
«Dunque mi hai spiato!» gridò Georg.
«Forse volevi dirla prima, questa parola,» commentò il padre in tono di compatimento, «ma ormai non serve più.»
E alzando la voce: «Adesso sai che c'era qualcosa oltre a te, finora non lo sapevi! Sì certo, eri un bimbo innocente, ma più certamente ancora eri un essere diabolico!... E perciò sappilo: io qui ti condanno a morire annegato!»
Georg si sentì spinto fuor della stanza, ancora negli orecchi il tonfo prodotto dal padre nel saltar dal letto per inseguirlo. Sulla scala, di cui scese a volo i gradini come scivolando su un piano inclinato, rovesciò quasi a terra la domestica che stava salendo per le pulizie mattutine. «Gesù!» gridò la donna coprendosi il viso col grembiule, ma lui era già lontano. Come il vento uscì dal portone; al di là della strada una forza lo incalzava verso l'acqua. Già si aggrappava al parapetto, come un affamato al cibo: lo superò con un volteggio, da quel provetto ginnasta, orgoglio dei suoi genitori, ch'era stato da ragazzo. Ancora si tenne stretto con le mani che via via cedevano, guardò intensamente, di tra le sbarre del ponte, un autobus il cui rumore senza dubbio avrebbe coperto quello della sua caduta, gridò piano: «Miei cari genitori, io vi ho sempre voluto bene!» e si lasciò precipitare.
In quel momento passava sul ponte un traffico addirittura sterminato.



Franz Kafka (1883-1924), Das Urteil, 1912

(Illustrazioni: Eva Kamienska-Carter)